TUTTI IN FILA PER IL TAMPONE di Giovanni Dozzini
È andata. Il carabiniere in pensione ha sbagliato di poco. Tampone fatto alle 14.35, dopo due ore e cinquanta minuti di fila. Un lasso di tempo in cui ho assistito a vecchie amicizie che si riallacciavano e a improbabili nuovi sodalizi tra donnine incontinenti e uomini massacrati dalla vita che si offrivano di tenere il posto durante la corsa ai bagni del Minimetrò, a sfuriate di padri esasperati e alle truppe della Protezione Civile che inveivano contro le macchine che non riempivano in fretta il vuoto che gli si produceva davanti. Ho visto bambini che pisciavano sul bordo del parcheggio, tra rifuti reduci della Fiera dei Morti, ho visto gente che cercava di entrare dalla parte sbagliata valutando la possibilità di scavalcare le transenne come fosse ad Hazzard, ho visto pranzi consumati negli abitacoli, labiali irriferibili da dietro i finestrini, e i tralicci del Curi impietositi sopra di noi.
Quattro postazioni in funzione su sei, personale mancante e personale stremato, e il catorcio del quale ero alla guida che borbottava e sfiatava e ci metteva un minuto a mettersi in moto ogni volta che doveva ripartire. Ho anche visto distintamente me stesso che scendevo e mi fiondavo su quelli che ne avessero approfittato per sorpassarmi, portandomi dietro un lanciafiamme come Leonardo Di Caprio nel finale di "C'era una volta a Hollywood" e intenzionato senza alcun dubbio a farne uso. Non ce n'è stato bisogno.
Una barbarie che, catorcio a parte perché quello è un problema mio, nessuno di noi dovrebbe continuare a tollerare.
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