La truce storia della Monaca di Monza murata viva e sopravvissuta per 13 anni
di Elio Clero Bertoldi
PERUGIA - Quest'opera si intitola "La Signora di Monza" ed é stata dipinta nel 1847 da Giuseppe Molteni (1800-1867), artista milanese con esperienze alla corte di Vienna.
L’opera é esposta nei Musei Civici di Pavia.
All’evidenza colpito dall'episodio, citato da Alessandro Manzoni ne "I promessi sposi" (diverse edizioni furono pubblicate tra il 1827 ed il 1842), di suor Gertrude (la "sventurata") e di Egidio (lo "scellerato"), Molteni si immaginò così (due secoli dopo i tragici e scabrosi avvenimenti narrati) la contessa Marianna De Leyva (1575-1650), realmente esistita, figlia di Martino de Leyva De La Cueva-Cabrera, signore di Monza e di Virginia Marino.
Marianna venne fatta entrare, a forza (costume dell'epoca), nel convento di Santa Margherita di Monza e a 16 anni assunse il nome di suor Virginia dell'ordine benedettino.
La relazione tra la monaca ed il conte Gian Paolo Osio (1572-1609) si sviluppò per un paio di lustri a partire dal 1598.
In questo periodo Marianna partorì due volte: un maschietto nato morto e una femminuccia, Alma Francesca Osio, venuta alla luce nel 1604.
Lo scandalo esplose fragorosamente e si aprì un imbarazzante, spinoso processo, voluto dal cardinale Federico Borromeo e presieduto in avvio dal vicario criminale Gerolamo Saraceni e in un secondo momento da monsignor Mamurio Lancillotti, al termine del quale il conte fu condannato a morte (in contumacia) quale autore di omicidio plurimo (della conversa Caterina Cassini di Meda e, come mandante, del farmacista Raniero Roncino) e di due tentati omicidi (delle suore Benedetta Homati ed Ottavia Ricci, entrambe a conoscenza della tresca e dunque pericolose testimoni).
Fuggito al di là dell'Adda, e dunque fuori dal ducato milanese, Osio ottenne ospitalità da un amico, Cesare Landriani, conte Taverna, che però, dopo qualche giorno, lo fece massacrare a colpi di bastone e di coltello dai suoi bravi, negli scantinati del proprio palazzo.
Marianna, invece, venne condannata ad essere murata viva, in una piccola stanza di pochi metri quadrati con una feritoia per l'aria e per far passare il cibo, nel romitorio di Santa Valeria.
Qui la "Signora" rimase e sopravvisse, incredibilmente viste le condizioni igienico-sanitarie della detenzione, per 13 anni. Fu liberata nel 1622.
La sua conversione ed il suo pentimento, entrambi valutati dalle autorità religiose come sinceri, vennero narrati dallo stesso Borromeo, che ai tempi del processo aveva sollecitato per la religiosa una "condanna esemplare".
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