PERUGIA - Responsabilità indirette del mancato controllo della specie cinghiale e dei conseguenti danni alle colture agricole umbre, vanno imputate sostanzialmente a tre elementi: la nascita dei parchi regionali e nazionali, al cui interno questi animali si riproducono indisturbati; la scarsa collaborazione delle aziende faunistiche private e delle zone di ripopolamento e cattura nelle azioni di contenimento; il non rispetto da parte delle squadre di cinghialisti dei quantitativi annuali di capi da abbattere per mantenere un sostanziale equilibrio fra animali presenti e danni incidentali alle colture. A Palazzo Cesaroni, su iniziativa della terza Commissione consiliare presieduta da Massimo Buconi, una affollata audizione con i vertici dell'associazionismo venatorio e del mondo agricolo ha fatto il punto su problemi e strategie per il contenimento delle specie faunistiche più dannose per le colture agricole, sulle modalità di accertamento e rimborso dei danni che da tempo coinvolgono anche il mondo delle assicurazioni automobilistiche per il ripetersi di incidenti stradali con cinghiali e più di recente anche con caprioli.

Dall'audizione è emerso anche che la quantità di danni non è omogenea in tutti i territori. È più pesante nel Trasimeno, dove si fanno colture delicate come il pomodoro, a Colfiorito con le produzioni tipiche e nello spoletino. Da più parti sono stati chiesti censimenti precisi sulla effettiva presenza dei capi, ma anche “tolleranza zero” nei parchi, al cui interno, “si devono autorizzare prelievi e selezioni mirate”, e una maggior determinazione della Regione nel concordare calendari venatori identici con i territori confinanti per evitare improvvisi spostamenti di animali verso i campi coltivati dell'Umbria, quando in Toscana, Marche e Lazio si caccia in tempi diversi. Più disciplina è stata invocata per le squadre dei cinghialisti che impegnano almeno un terzo dei 34mila cacciatori umbri, ma non rispetterebbero i piani di abbattimento concordati ad inizio anno e in alcuni casi non parteciperebbero alle selezioni straordinarie, oltre i periodi di caccia. Ad inizio seduta il presidente Massimo Buconi ha sollecitato analisi e proposte su più argomenti, in particolare: sulla difficoltà ad erogare al mondo agricolo tutte le somme che la Regione individua mettendo a disposizione il 33 per cento delle entrate relative al rinnovo delle licenze annuali di caccia; sulle liquidazione dei danni da incidenti stradali da parte delle assicurazioni degli automobilisti; sulla necessità di avere al più presto dagli uffici regionali uno studio dettagliato relativo agli accertamenti dei danni all'agricoltura negli ultimi anni, per capire se c'è un rapporto diretto e significativo con gli abbattimenti annuali effettuati dalle squadre.

GLI INTERVENTI. Ha iniziato Paolo Zandrini (Arcicaccia) notando come i danni più recenti all'agricoltura sono dovuti anche alla ultima abbondante nevicata che ha spinto a valle gli animali. A suo giudizio non è più tollerabile la situazione del Trasimeno con animali ormai insediatisi nel canneto. Per Paolo Baiardini (EnalCaccia) i cinghiali sono decisamente troppi ed occorre ristabilire il loro equilibrio naturale anche all'interno dei parchi regionali. Ha suggerito abbattimenti con tutti i mezzi idonei, compresi gli strumenti meccanici di cattura Gianni Eroli (Apt) evidenziando come i danni veri all'agricoltura si registrano dove c'è forte concentrazione di animali, fino a 50-60 capi che si spostano insieme. Per Ezio Bordicchia (Apt) mentre all'orizzonte si profilano danni ingenti ai frutteti da parte della specie storno in forte crescita, va rivista la legge regionale e un regolamento di difficile interpretazione proprio sulla quantificazione dei danni. Una dura critica all'esperienza dei parchi umbri è venuta da Franco Granocchia (Provincia di Perugia), “non hanno portato i benefici attesi, ma tanti cinghiali che mettono in fuga altre specie faunistiche. Occorre tolleranza zero, anche con le aziende private inadempienti sulle catture”. Ed abbattimenti selettivi all'interno dei parchi li ha chiesti subito dopo Stefano Tacconi (Libera Caccia) che ha posto con forza il problema di rivedere il regolamento regionale sui danni e di spostare più soldi dal rinnovo delle licenze al rifacimento. Se i danni all'agricoltura sono cresciuti, ha spiegato Massimo Manni (Coldiretti) questo è dovuto anche a fattori contingenti, come l'aumento del 30 per cento delle sementi dei cereali. Per Quartilio Ciofini (Apt) sarebbe sufficiente “obbligare le squadre di cinghialisti, pena la non iscrizione, a partecipare alle selezioni di settembre ed a rispettare i numeri di capi da abbattere durante il periodo di caccia da estendere a tutto gennaio”. La rotazione delle squadre nei vari territori è stata proposta da Igor Cruciani (Confagricoltura), allo scopo di evitare l'interesse dei cacciatori a lasciare sul territorio troppi capi per l'anno successivo. Censimento puntuale dei cinghiali presenti nelle varie zone e sanzioni alle squadre che non raggiungono gli obiettivi, li ha chiesti in ultimo Franco Di Marco (Federcaccia)  

 

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