"Abusi, incuria e colate di cemento: colpa dell’uomo, non della natura", così in un articolo su La Stampa il geologo e divulgatore scientifico Mario Tozzi, dopo tragica giornata che ha messo in grave difficoltà gran parte del Nord Italia

"Colate di fango, frane, smottamenti, alluvioni, ma anche acqua alta a Venezia e mareggiate sulla Liguria sembrano essere diventate ormai la regola, mentre i cittadini e gli amministratori locali non sembrano fare altro che prendersela con la natura o con il destino. Invece dovrebbero prendersela con loro stessi e con il non aver pianificato correttamente sul territorio, aver consentito di costruire troppo spesso in luoghi pericolosi, aver sanato gli abusivismi e essersi affidati alle grandi opere, che possono anche funzionare, ma che certamente non sono una risposta armonica e sostenibile. Quando piove più del consueto come oggi, perché ormai il clima è cambiato, è comunque meglio guardare a terra, non in cielo, perché il problema è che quelle quantità enormi di pioggia cadono su un territorio devastato, abbandonato, abusato e divorato da costruzioni e infrastrutture di ogni tipo e genere".

"Il territorio ricoperto dal cemento e dall’asfalto, in Italia, dal secondo dopoguerra è quadruplicato ed è oggi valutabile intorno al 7,5% della superficie nazionale, contribuendo a rendere più precario l’equilibrio idrogeologico, dissipando le nostre risorse naturali e amplificando i fenomeni estremi causati dai cambiamenti climatici. Se frane e alluvioni da noi fanno così tanti danni e vittime, dipende soprattutto dal consumo di suolo. In Italia avviene, in media, uno smottamento ogni 45 minuti e periscono, per frana, sette persone al mese. Già questo è un dato poco compatibile con un Paese moderno, ma se si scende nel dettaglio si vede che, dal 1918 al 2018, si sono riscontrate addirittura 17.000 gravi frane".

"Sul lungo termine è ora di ripensare il rapporto fra cittadino e natura: bisognerà imporre limitate opere di intervento naturalistico dove serve, ma si dovrà delocalizzare (dolcemente) parte della popolazione a rischio idrogeologico, e pensare a una nuova pianificazione che sia più equilibrata e armonica. Perché non si può più morire nel fango all’inizio del terzo millennio, tanto meno in un paese che ha ambizioni da potenza mondiale".

 

Condividi