di Elio Clero Bertoldi

PERUGIA - Egidio Pennacchi, era un operaio di 46 anni, sposato e padre di quattro figli, che abitava a Ferentillo e che morì sul lavoro (una delle purtroppo tante vittime spesso dimenticate) in modo davvero agghiacciante. La tragedia si consumò in pochi terribili attimi nella zona della Passerella di via del Cassero a Terni. Era il febbraio del 2014. Egidio stava effettuando, dentro un cestello in cima ad una gru, la potatura di un grande albero lungo l’argine del fiume Nera. All’improvviso il mezzo che sosteneva la gru si era ribaltato e lo sfortunato operaio era finito in acqua, annegando. La corrente si portò via anche il corpo del Pennacchi e solo dopo trentasei lunghi giorni i vigili del corpo recuperarono i poveri resti, sui quali familiari e amici poterono piangere. 
A Terni si é celebrato il primo grado del processo - davanti al giudice Barbara Di Giovannantonio - nei confronti di otto imputati, tre dei quali (il manovratore della cesta aerea e due legali rappresentanti di altrettante società) sono stati riconosciuti colpevoli di omicidio colposo e condannati ad un anno e 8 mesi di reclusione. Gli altri cinque sono stati assolti. I difensori dei tre soggetti che hanno ricevuto la condanna, come é prassi (visto che avevano sollecitato l’assoluzione dei propri assistiti) presenteranno il ricorso in corte d’appello. 
Per conoscere come, secondo il primo giudice, andarono le cose, bisognerà attendere il deposito della sentenza. Ma tra i vari aspetti che l’ingegnere incaricato di svolgere le funzioni di Ctu (consulente tecnico d’ufficio) ha evidenziato ne figurano alcune che possono aver avuto un ruolo nel tragico ribaltamento: che il cestello fosse stato manovrato da terra (operazione fattibile solamente in caso di emergenza) e che il braccio della gru fosse stato disteso oltre la lunghezza massima consentito (fissata in 8 metri).
Tra i cinque assolti con la formula “per non aver commesso il fatto” anche il titolare di una officina meccanica che aveva prestato la propria opera per la manutenzione del camion, sul quale era stata posizionata la piattaforma elevatrice. Il difensore del imputato - l’avvocato Gabriele Antonini - ha fatto notare nella sua arringa difensiva come il proprio assistito avesse effettuato la revisione (nel 2013, quattro mesi prima del terribile episodio di “morti bianche”, in ottobre) alla sola parte meccanica dell’automezzo (freni, motore, batteria, fari), come indicato nella fattura emessa dall’officina. Insomma: nessun nesso di causalità tra l’evento e la revisione puramente meccanica del solo automezzo. .

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