SINTESI RELAZIONE INTRODUTTIVA CNA
Quale è l’entità vera del credit crunch e cosa pensano di fare le banche che operano nella nostra regione in relazione al mondo della piccola impresa? Quante risorse di quei 1.000 miliardi di euro riversati dalla BCE verso la ricapitalizzazione del sistema bancario verranno utilizzate per ridare ossigeno alle piccole imprese? La volontà di voler tornare a operare nel territorio, più volte manifestata da diversi istituti di credito, cosa significa in realtà? Si torneranno a valorizzare le relazioni o si seguiranno pedissequamente le procedure che ci si è dati per uniformare i comportamenti a livello nazionale o interregionale? Le banche pensano che i confidi possano ancora dare un contributo per facilitare l’accesso al credito delle piccole imprese e per una valutazione migliore del loro merito del credito? E ancora: i progetti che abbiamo promosso a livello nazionale attraverso la FEDART e a livello regionale in collaborazione con le altre associazioni di categoria e la stessa regione dell’Umbria potranno vedere la luce in tempi utili per affrontare la terribile crisi attuale? E infine: quali misure si pensa siano necessarie per far ripartire una nuova fase di crescita in Italia e nell’Umbria?
Queste le domande cruciali che Cna e Fidimpresa Umbria porranno ai rappresentanti istituzionali e degli istituti bancari nel corso della tavola rotonda organizzata quest’oggi al Giò Jazz sul tema della crisi del rapporto tra piccole imprese e banche.

In Italia, ed anche in Umbria, circa il 98% delle imprese sono piccole imprese, cioè aziende con meno di 50 dipendenti e tra queste la grande maggioranza è rappresentata dalla micro imprese, cioè da aziende con meno di 10 addetti. Le piccole imprese nel loro insieme rappresentano circa il 60% dell’occupazione italiana. Pertanto sulla base dei numeri, che sono facilmente verificabili, possiamo tranquillamente dire che se in Italia si devono adottare politiche ad hoc per la crescita, tali politiche non possono prescindere dal dare risposte alle esigenze delle piccole imprese.
Oggi nella crisi l’accesso al credito per questa tipologia di imprese rappresenta non uno, ma il Problema, che va affrontato e risolto prima di ogni altro. Senza adeguati mezzi finanziari molte piccole aziende chiuderanno, cancellando numerosi posti di lavoro che non potranno essere sostituiti facilmente nel breve periodo.

Una recente rilevazione della Banca d’Italia relativa all’andamento del credito alle imprese da parte del sistema bancario evidenzia un - 1.5% di prestiti erogati nel trimestre ottobre/dicembre 2011; - 2.2% di prestiti erogati nel mese dicembre 2011; + 3.7 miliardi l’aumento del costo del denaro, con tassi arrivati a superare il 10% e costi aumentati di oltre 1 punto nell’anno; + 36% insolvenze rispetto al 2010. L’aumento globale delle erogazioni nel 2011 rispetto al 2010 è stato del + 3%, non eguagliando neanche il tasso di inflazione, che è stato nell’anno del + 3.3%.

Per l’Umbria, sempre dati della Banca d’Italia, il 70% dei prestiti erogati per cassa dalle banche va al 10% delle imprese, alle grandi imprese dunque, che però non sembra meritino la fiducia loro concessa dagli istituti di credito in quanto è in capo a quel 10% di big che c’è il 76,4% delle sofferenze!!
Una recente ricerca della FEDART, la Federazione Nazionale dei Confidi dell’Artigianato, dimostra che la propensione a concedere finanziamenti da parte del sistema bancario è direttamente proporzionale alla dimensione di impresa: più sei grande, più sei facilitato nell’accesso al credito. La stessa ricerca della FEDART dimostra che negli ultimi tre mesi del 2011 circa il 20% dei finanziamenti garantiti dai confidi a livello nazionale non sono stati erogati dal sistema bancario.

Queste le modalità tipiche attraverso cui si manifesta la stretta creditizia nei confronti delle piccole e piccolissime imprese: mancata concessione di nuove linee di credito sia per investimenti che per liquidità; aumento dei tassi di interesse applicati, che in molti casi oramai stanno superando il 10; eccessiva richiesta di garanzie reali e personali per la concessione di nuovi finanziamenti; modifica unilaterale dei tassi di interesse accordati su linee di finanziamento e/o di credito pur non essendosi modificate le condizioni economico finanziarie sulla base delle quali si determinano i rating dell’imprese; allungamento continuo e costante dei tempi di decisione per la delibera di nuove linee di finanziamento.

Se le banche continueranno a valutare le piccole imprese solo ed esclusivamente in termini quantitativi, attraverso il rating, come sistema paese non si andrà lontano. Se negli anni ’70 e ‘80 si fosse utilizzato il rating per valutare le idee imprenditoriali degli ex mezzadri e/o ex operai, l’Italia non sarebbe sicuramente cresciuta così come ha fatto nonostante la crisi internazionale, le difficoltà della grande impresa italiana e il terrorismo. In quegli anni nel territorio contavano soprattutto “le relazioni” tra l’imprenditore e il direttore della filiale della banca locale e quelle con il sindaco del Comune, con il prete o il maresciallo, pur se non necessariamente in questo ordine.

Ma alla fine le persone serie riuscivano a trovare la giusta via per avviare la propria attività, creando valore aggiunto e benessere per sé e per il territorio in cui operavano. Contando sulle relazioni è nata e cresciuta la figura del “metalmezzadro” ed è sulla base delle relazioni esistenti nel territorio che è cresciuto e si è sviluppato l’attuale sistema di piccole e medie imprese, che ha sopperito alle mancanze della grande industria, in Italia sempre poco numerosa. Oggi non pensiamo che si possa tornare a quegli anni, troppo tempo è passato e tante cose sono cambiate. Nonostante ciò il rating non può più rappresentare l’unico strumento di valutazione delle piccole imprese, non funziona perché è stato studiato per altre tipologie di aziende nate e cresciute in mercati diversi da quello italiano (basti pensare al dato medio di addetti per impresa che in Italia è di 3/4 ed in Germania è di 13/14 unità).
Cna è dell’opinione che vadano studiati nuovi sistemi, anche non convenzionali, per assicurare il giusto credito alle piccole imprese, che oltre ad una funzione economica svolgono anche un importante ruolo di coesione sociale.

Gli imprenditori, soprattutto quelli piccoli, sono qualcosa di molto di più e di diverso dai semplici numeri che compaiono nei bilanci delle loro aziende: tra l’azienda artigiana e la famiglia dell’artigiano spesso e volentieri c’è una continuità difficilmente scalfibile.
Speriamo che la manifestata volontà di molti istituti di credito di voler tornare a lavorare nei territori rappresenti un primo passo per rivalutare l’importanza delle relazioni all’interno del nostro sistema economico.
I confidi delle associazioni di categoria, che conoscono molto bene le imprese locali, potrebbero essere molto d’aiuto a ricostruire un clima di reciproca fiducia e trasparenza tra la banca e la piccola impresa. In Umbria operano oltre 10 confidi, tutti ex art. 106 del TUB e tutti riconducibili alle associazioni di categoria, ai quali si aggiunge GEPAFIN, la finanziaria regionale che sta lavorando per farsi accreditare come 107 dalla Banca d’Italia.
I risultati ottenuti dai confidi in oltre trenta anni di attività in Italia, ma soprattutto nella nostra regione, rappresentano una buona carta d’identità. In molti casi hanno svolto, e stanno svolgendo ancora, il ruolo di banca etica, di cui pensiamo ci sia ancora bisogno per supportare il microcredito e ogni altro strumento, come le misure antiusura.

Fino al 2008 Fidimpresa Umbria, nonostante la bassa capitalizzazione, attraverso il rilascio di garanzie sussidiarie riusciva a garantire enormi masse di finanziamenti, che superavano gli 80 milioni di euro annui, utilizzando elevati moltiplicatori e con tassi di insolvenza irrisori, che si aggiravano intorno allo 0,6-0,8%. Oggi purtroppo non riesce più a raggiungere tali risultati.
In questi mesi è emersa con forza la volontà di alcuni istituti di credito di disintermediare i confidi, mentre altri invece tendono a non riconoscere più il valore della garanzia, soprattutto se sussidiaria.
I confidi possono continuare a svolgere l’importante ruolo di facilitatori nella relazione banca/impresa, affiancando alla funzione di mitigazione del rischio insita nella garanzia, quella ancor più importante soprattutto per le piccole imprese, di accompagnamento nel difficile e complesso rapporto con il credito e di riduzione delle asimmetrie informative. I confidi possono migliorare la comunicazione ed il dialogo dell’azienda con la banca anche attraverso l’erogazione di nuovi servizi.
Tra il confidi e il sistema bancario si dovrebbero instaurare relazioni, fondate su percorsi condivisi e progetti innovativi, che presuppongano una concreta valorizzazione del ruolo della garanzia, anche nella sua valenza “implicita” di certificazione del merito creditizio, così da superare la visione limitativa del Confidi relegata alla sola copertura della perdita in caso di insolvenza della impresa.

Cna reputa assolutamente necessario l’intervento della politica e delle istituzioni, che dovrebbero lavorare per valorizzare quello che c’è di buono, più che pensare di mettere in concorrenza gli strumenti pubblici con quelli privati. A livello regionale da alcuni anni, insieme alla regione dell’Umbria e alle altre associazioni, stiamo lavorando alla costruzione di un unico sistema di garanzia costituito da un 107 baricentro “Gepafin”, la finanziaria regionale, che opera in stretta simbiosi con i 106, i confidi regionali delle associazioni di categoria. È però da troppo tempo che ne discutiamo: speriamo che il percorso si chiuda al più presto, perché qui è in gioco la credibilità delle istituzioni regionali e delle associazioni di categoria coinvolte.
Ma affinché i due progetti di sviluppo e riposizionamento del sistema della garanzia possano avere successo è necessario che ci sia un forte coinvolgimento di tutti i soggetti e strumenti pubblici, del Fondo Centrale di Garanzia, della Cassa Depositi e Prestiti delle Banche, delle Regioni, del Sistema Camerale, dei Confidi, del Fondo Europeo per gli investimenti e delle Fondazioni Bancarie.

Ma per quanto le imprese, le banche e le associazioni di categoria possano fare, non si avranno effetti duraturi nel tempo senza l’adozione di serie riforme strutturali a livello europeo, nazionale e regionale.
Il pericolo vero per l’Italia e l’Umbria sta nella rassegnazione della politica, nella sua incapacità di reazione alle paure e nel suo accontentarsi di cavalcarle. Il populismo non serve a nessuno tanto meno alla miriade di imprese che lavorano nei nostri territori. La politica deve saper guardare lontano, investire nella speranza di un futuro migliore per le giovani generazioni avvilite dalla mancanza di opportunità di lavoro e da compensi da fame nonostante la preparazione talvolta di grande livello. La politica, soprattutto in questo momento deve fare scelte coraggiose, anche se impopolari.
E’ per questo che Cna è per le riforme: il nemico non va cercato fuori, perché incolpare l’altro equivale a deresponsabilizzare se stessi, e ciò significherebbe chiudere il Paese e l’Umbria, rinunciando a priori al tentativo di farlo di uscire dallo stallo in cui si trova.
Responsabilizzare i cittadini, le istituzioni, le banche e le imprese con le loro associazioni servirà a cominciare insieme quel percorso di ricostruzione culturale, prima ancora che politico ed economico, di cui l’Italia e l’Umbria hanno un grande bisogno.

 

Condividi