di Elio Clero Bertoldi

PERUGIA - Viveva a Perugia uno dei cinque attentatori che uccisero un bambino e ferirono 37 persone nel sanguinoso assalto alla sinagoga di Roma del 1982. Si chiama (o chiamava?) Osama Abdel Al Zomad e pur condannato dalla giustizia italiana, é riuscito a sottrarsi alla pena. 
Aveva ragione da vendere il giudice Ferdinando Imposimato che scriveva e ripeteva (anche - per quanto vale - al sottoscritto in una intervista… itinerante per le scale, i corridoi, i meandri del palazzo di giustizia) che considerava Perugia “crocevia del terrorismo”. 
Basta ripensare ad Alì Agca che partì da Perugia, dopo essersi iscritto ed aver frequentato i corsi dell’università per Stranieri, per uccidere il papa Giovanni Paolo II, nel 1981 in piazza San Pietro (un passaggio piuttosto lungo di cui, stranamente, lo stesso protagonista non parla nel suo libro di memorie “Mi avevano promesso il Paradiso”). O ai “commando” libici, inviati da Muammar Gheddafi per ammazzare gli avversari riparati in Italia (assalto al Café de Paris sempre a Roma). Ancora la presenza nel capoluogo umbro del misterioso studente e borsista russo (Sergej Sokolov), poi scoperto a seguire le lezioni di Aldo Moro, poco prima del sanguinoso sequestro del leader democristiano e della sua brutale e cinica esecuzione e subito dopo svanito dall’Italia. Oppure rammentare l’appartamento di via dell’Acquedotto, dove si riunivano le Brigate Rosse, colonna romana. E, in aggiunta, le numerose spie dei colonnelli greci, gli 007 della Persia (la Savak dello Scià, ma persino gli infiltrati degli ayatollah e quelli dei movimenti modernisti, laici, antireligiosi), le “barbe finte” del Mossad e gli uomini delle varie formazioni palestinesi. Addirittura il soggiorno nel capoluogo umbro, a fine 1979 e all’inizio del 1980 (iscritto prima all’Unistranieri e poi all’ateneo statale), di un pericoloso soggetto di nazionalità tedesca, Thomas Kram, legato al gruppo del terrorista Ilich Ramirez Sanchez, detto “Carlos”, poi inserito tra i sospettati - sia pure con archiviazione delle ipotesi di accusa - nell’indagine sulla strage di Bologna.
Insomma un coacervo di presenze inquietanti e sospette, tanto che per diversi lustri, i nostri servizi segreti tennero aperta una sede fissa in città, per tentare di mantenere sotto controllo, per quanto, possibile, la situazione. 
Ora spunta fuori - con l’ulteriore conferma di Anna S., insegnante di 62 anni ed all’epoca fidanzata del palestinese - che Osama Abdel Al Zomad, allora ventenne o giù di lì, ha soggiornato a Perugia, dove era conosciuto anche come presidente (e, in precedenza, semplice militante) della sezione italiana della “General Union of Palestinian Groups”. 
Correva la mattina del 9 ottobre 1982 quando il gruppetto palestinese attaccò la sinagoga di Roma dove si erano ritrovati, per la celebrazione di tradizionali riti religiosi, circa 300 ebrei della capitale. Armati di fucili automatici, i cinque, sparando all’impazzata e ad altezza d’uomo, freddarono il piccolo Stefano Gaj Taché di due anni e sparsero il sangue degli altri israeliani, suscitando orrore, sgomento e clamore.
Al Zomad venne arrestato il 20 novembre successivo in Grecia mentre tentava di raggiungere la Turchia. Sull’auto, di cui era alla guida, pure una trentina di chili di esplosivo. A sottolineare un ruolo non certo secondario e temporaneo nell’attività terroristica.
Fu proprio grazie alla testimonianza dell’allora studentessa italiana, insieme ad altre prove ed elementi, che che fu possibile identificare uno degli attentatori. 
Al processo, e qualche giorno fa in una intervista a La Repubblica, la professoressa Anna ha spiegato come la sera del 9 ottobre avesse seguito sul Tg1 il servizio sull’azione terroristica, che Osama - seduto accanto a lei - tentava di giustificare in qualche modo. Nei giorni successivi, poi, il palestinese confidò alla ragazza di aver svolto il ruolo di basista nel cruento blitz. Subito dopo fece perdere le sue tracce: sparì nel nulla. Anna, dal canto suo, si presentò, da buona cittadina, agli inquirenti e raccontò quanto era venuta a sapere. Le dichiarazioni della giovane consentirono di individuare, incriminare e condannare il palestinese, mentre degli altri quattro componenti del commando non si é saputo mai alcunchè. 
L’assalto alla sinagoga - sul quale sono state riaperte le indagini ed é in corso un approfondimento anche da parte del Comitato parlamentare per la Sicurezza (Copasir, in sigla) - deve aver goduto di molte “coperture” (pure da parte italiana? Non manca chi sostiene che, per ottenere la garanzie di non subire attentati sul suolo della nostra nazione, qualche autorità pubblica sia arrivata a “vendere” la vita degli israeliani).
Ora a 39/40 anni di distanza resta soltanto una flebile speranza che si possa fare chiarezza e raggiungere la verità su questo orribile, agghiacciante episodio della nostra storia nazionale.

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