La lettera di addio di Fausto Bertinotti

Non ci è consentito neppure abbracciarci. L’unica cosa che sapremmo fare è quella di stringerci l’uno all’altra per sentire ancora Stefano tra noi, come per trattenerlo. È una cosa che non si riesce dire che Stefano è morto; è una cosa a cui ti ribelli come difronte a un’ingiustizia intollerabile. Vorremmo abbracciare per prime le persone che gli erano più care, quelle da lui più amate, la figlia Emilia, il nipote, la sorella Soliera e poi tutti i compagni, gli amici e le persone che gli hanno voluto bene nella vita, nel sindacato, nel partito. Lo vorremmo fare con tutti quelli che hanno camminato con lui per continuare quel cammino. In questo abbraccio vorremmo rivivesse un rito antico del movimento operaio con il quale ci si accomiatava da un compagno e se ne prendeva la consegna per proseguire la sua lotta, la lotta di una comunità e di una classe. Era il rito delle ‘bandiere rosse abbrunate’, come quando le nuvole coprono il cielo senza però cancellarlo anzi, facendocelo sentire più vicino; erano le zolle di terra dell’ultimo saluto ricordando un destino comune; era il lento e sommesso canto dell’Internazionale. Stefano ricordava la versione di Franco Fortini quella che fa: “l’Internazionale fu vinta e vincerà”. Vorremmo potergliela fare riascoltare e riascoltarla insieme per ricordarci cosa continua a vivere di Stefano Zuccherini perché, di una vita come la sua, resta e resterà più che il ricordo.

Vengono in mente le cose più intense che sono state scritte sui rivoluzionari, sui ribelli, sui militanti, sui protagonisti cioè di una grande storia che è quella del movimento operaio e sul loro lascito. È una grande storia, oggi, sconfitta. Ma, come diceva una grande rivoluzionaria molto amata da Stefano, ci sono sconfitte che valgono più di una vittoria, che valgono più di cento risoluzioni di un comitato centrale. Zuccherini ha vissuto interamente l’ultima stagione. È entrato sulla scena con la rivolta operaia e studentesca del biennio rosso del ’68-’69, ne ha percorso poi il suo accidentato sviluppo e il suo intero cammino. Era perugino, apparteneva alla giovane classe operaia umbra della nuova industrializzazione che ha tentato l’ultima scalata al cielo prima di essere cacciata dalla odiosa rivincita dei potenti. Zuccherini ha vissuto l’esperienza travolgente della nascita del sindacato dei consigli, dell’elezione diretta dei delegati operai e con loro ha raccolto il testimone e rinnovato l’eredità degli storici quadri operai delle acciaierie di Terni. Una nuova classe operaia, quella della ‘perugina’, ci riprovava ancora e Stefano con essa. Lo conobbi allora, quando la CGIL umbra, diretta da Paolo Brutti e trainata da un gruppo di giovani suoi coetanei, incontrava “i torinesi” per potere intraprendere più speditamente e con la necessaria radicalità quella nuova storia. Non ci siamo più persi di vista prima nel sindacato e poi nel partito. Dall’esperienza della sinistra sindacale traemmo la spinta per entrare nel partito della Rifondazione comunista, il partito nel quale Stefano si è riconosciuto e in cui sempre ha militato. Un quadro operaio: si diceva una volta di un dirigente che sapeva mantenere la sua radice di classe e, insieme, perseguire una propria crescita culturale. Così è stato Stefano Zuccherini: un uomo libero. È stato uno degli ultimi di una specie straordinaria: un dirigente della CGIL, un dirigente comunista di originale storia operaia, un intellettuale, militante sempre.

Ricordare le tappe delle responsabilità che ha assunto nelle organizzazioni e nelle istituzioni non è effettuare il loro burocratico elenco ma è dar conto di un percorso politico che illustra la storia di una generazione di militanti e che parla anche della storia di una comunità politica. È stato delegato CGIL della Tatry di Corciano, membro della Segretaria delle Camera del Lavoro di Perugia, membro del Comitato regionale umbro del PCI, Segretario regionale della FIOM, membro della Segreteria regionale della CGIL, Segretario regionale del Partito della Rifondazione Comunista, Consigliere regionale dell’Umbria, Consigliere comunale di Corciano, membro della Segreteria nazionale di Rifondazione, Senatore della Repubblica. Si può ben dire che sono stati incarichi ricoperti con responsabilità e onore e l’insopprimibile vena anarchica di Stefano li ha arricchiti. Una storia di fabbrica, dunque, è la sua ma anche una storia del sindacato di classe e una storia del partito operaio. È una storia forte, ma neppure in essa Stefano si è mai dissolto. Lì, dentro quel crogiolo forte e a volte prevaricatore, Stefano ha saputo tirar fuori la sua, peculiare personalità, una personalità dal profilo riconoscibile a vista. Vi ha contribuito anche la sua immagine, il suo volto dai lineamenti marcati su cui era incisa la storia del suo popolo, quello umbro e che però sembrava, in alcuni tratti, rinviare a miti lontani come ai profili dei volti dei capi indiani d’America. La vita non gli è stata facile, lo hanno colpito, nei più profondi degli affetti, avvenimenti crudeli. Li ha combattuti a pugni nudi e ce l’ha fatta. Con quanto dolore non possiamo sapere, ma quel che sappiamo è che gli avvenimenti non lo hanno piegato.

Stefano ha difeso, in ogni occasione, la sua umanità nel sindacato e nella politica. Ha discusso, studiato e lottato con passione forte e originale, come originali erano i suoi interventi in un’assemblea di fabbrica come in una direzione di partito come in un’istituzione repubblicana. In questo suo cammino di liberazione è andato lontano fin nell’aula del Senato della Repubblica, senza mai perdere le radici della fabbrica e della terra. Della sua terra umbra, della sua gente ha fatto racconti ora drammatici ora comici che hanno arricchito le culture orali di chi ha avuto il dono di ascoltarlo. Sapeva raccontare, come in un grande romanzo popolare, la sua gente, quella con cui ha vissuto e per la quale ha lottato in tutta la sua vita. Vorremmo tanto, come nella ballata ‘per la ragazza color dell’aurora’, che una giovane e un ragazzo, oggi immemori di questa storia, domani, quando una nuova generazione scoprirà il suo cammino di liberazione, incontrassero qualcuno che dicesse loro chi era Stefano Zuccherini per potersi riconoscere come suoi eredi.

Ciao Stefano, amico e compagno di una vita. Hai fatto la tua parte, ci hai donato molto, ti abbiamo voluto bene, ci mancherai ma non ti dimenticheremo. Ti sia lieve la tua terra.  

 

Fausto Bertinotti

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