Eleonora Martini - Il Manifesto

«Siamo nati come movimento in difesa dell'acqua pubblica, ma è l'intero pianeta il nostro bene comune, da difendere a tutti i costi contro la follia atomica: una tecnologia inutile, rischiosa e costosa». Ma dopo Fukushima e dopo il grande «bluff» della moratoria sul piano nucleare pensata solo per boicottare il referendum, hanno deciso di esplicitare meglio il loro messaggio «No Nuke». Due istanze, la proprietà collettiva dell'oro blu e un territorio denuclearizzato, che viaggiano a braccetto, e non conoscono idea politica: a sfilare nelle strade della capitale ci sono elettori di destra e di sinistra, c'è perfino «Fare Verde», un'associazione nata 25 anni fa come di estrema destra ma, tentano di spiegare le donne e gli uomini dello spezzone che qualcuno ha cercato di cacciare dal corteo, «ora è composta da cittadini di ogni orientamento politico», «molti di sinistra, come me», puntualizza un pescarese. Ciascuno ha aggiunto un simbolo, una parola, contro il nucleare sullo striscione o sul cartello, o una spilla gialla appuntata sulla giacca. Calzano tute bianche e maschere antigas; una stilista fiorentina indossa la bandiera antinuclearista che ha trasformato in un abito da cortigiana. Sono solo delegazioni, però, perché decine di altre manifestazioni No nuke si sono tenute ieri contemporaneamente in molte città italiane. Alcuni sardi in trasferta a Roma raccontano che a Cagliari ieri in molti hanno risposto alla geofisica Margherita Hack, che ha indicato la Sardegna come miglior sito nucleare, portando in piazza il vessillo indipendentista nella versione radioattiva: quattro teschi al posto dei quattro mori. Arrivano dalla Lombardia e dall'Umbria: «Uniti vinceremo di nuovo: Italia denuclearizzata». Dalla Sicilia, dal Lazio e dalla Basilicata, dalla Puglia, dal Piemonte e dall'Abruzzo. Vengono dalla Campania e sono «di ogni appartenenza politica», i «Movimenti Cap» che portano striscioni numerati e con una scritta «Socialità e progresso»: sono i codici di avviamento postale delle singole città, un modo per dire che ogni paese è un popolo che dice «No al nucleare». «Perché - spiegano - lo sappiamo già che se ci sarà bisogno di una pattumiera per le scorie radioattive, saremo noi i primi della lista». Greenpeace, Legambiente e Wwf hanno mobilitato migliaia di persone da tutta Italia. E sono tanti i lavoratori e gli imprenditori delle energie rinnovabili che hanno speso capitali, tempo, energia e speranze in progetti di produzione - fotovoltaico, soprattutto - e ora rischiano di perdere tutto a causa del decreto Romani. «Anni di battaglie burocratiche, progetti bocciati e ripresentati mille volte e poi infine approvati, non sai nemmeno perché, senza aver cambiato una virgola - racconta Roberto, ingegnere, che per il suo progetto aveva trovato anche capitali esteri -e ora, dopo due mesi dall'entrata in vigore dell'ultima legge, il governo cambia tutto. Il termine ultimo per allacciare gli impianti è il 31 maggio, ma per l'Enel ogni cavillo è buono per rinviare: sono due mesi e mezzo che aspettiamo». Una storia tra tante. Ma i politici che sfilano sono pochi, qualcuno degli Ecodem e dell'Idv, i Verdi, Sel e Rifondazione. Anche se, come dice Paolo Ferrero: «A differenza di tanti altri temi su cui abbiamo manifestato, questo del referendum sull'acqua e sul nucleare è un terreno dove si può concretamente vincere».

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