Non sono dunque bastati né gli accorati appelli provenienti dalle fila della loro stessa maggioranza, degnissimo di rilievo quello della consigliera PDL Olga Fioriti, né gli inviti ad un’ulteriore riflessione avanzati dalle opposizioni, perché il Sindaco, l’assessore alla cultura Vitali ed una compagine politica sempre più sfilacciata ed “assente” recedessero dal varare il nuovo profilo gestionale della Rocca Flea, il principale tra i beni monumentali della nostra Città oltre che il “contenitore” d’arte e di cultura per eccellenza nella sua qualità di sede del Museo civico di Gualdo Tadino.

Fatto sta che nell’affidamento all’associazione onlus Museo dell’emigrazione della gestione delle cerimonie civili e di altre manifestazioni che si potranno svolgere nella Rocca federiciana, tra le nuove finalità di utilizzo previste nel dispositivo predisposto dalla Giunta non vi è nessuna clausola definita nel dettaglio che consenta di evitare usi promiscui e impropri e non vi sono sufficienti garanzie per salvaguardare il bene culturale da attività invasive che nulla avrebbero a che vedere con le più opportune e sostenibili finalità di natura culturale.

Non si tratta certo di questionare sull’opportunità o meno di considerare una Rocca restituita negli scorsi anni agli antichi splendori come un monumento esclusivamente da ammirare quasi fosse un’intoccabile bomboniera di cristallo. Le possibilità di utilizzo che si offrono nell’ambito delle manifestazioni civili e culturali della nostra Città sono già molteplici, ma perfettamente in linea con le esigenze di sostenibilità. Quello che sconcerta del provvedimento della Giunta Morroni non è dunque la fotografia esatta di come la “location”, per usare parole care all’establishment berlusconiano di casa nostra, venga già utilizzata; è bensì l’ambiguità, l’opacità e l’avallo della discrezionalità coi quali ci si apre ad altre e non meglio precisate possibilità di utilizzo, ratificando ex post, di fatto, quelle già consentite per concessione feudale dal Primo cittadino. Il rischio che la Rocca Flea possa diventare una sorta di CVA per ricchi è già nelle cose visto quello che è successo lo scorso anno con l’autorizzazione del Sindaco a svolgervi un banchetto di nozze.

Non è d’altronde un fatto inusuale e si riscontrano segni purtroppo indelebili nella nostra storia urbanistica, architettonica ed artistica che i “signori” di questa Città abbiano avuto in così poca considerazione il patrimonio culturale locale. Sarebbe sufficiente ricordare lo scempio cardinalizio che si fece di una delle più belle piazze dell’Umbria, l’attuale Piazza Martiri, o la più recente superfetazione del Palazzo Sinibaldi in Piazza Garibaldi. E basterebbe ricordare che la stessa importante figura del più grande pittore locale, proprio quel Matteo da Gualdo che tenne simbolicamente a battesimo la “nuova” Rocca Flea fu storicamente ed artisticamente riscoperto non già da nobili proprietari fondiari o signorotti in odor di nuova borghesia e dall’approccio mecenate, bensì dalla locale Società Operaia.

Nel modo in cui si intende dalla Giunta Morroni, alle difficoltà economiche, ai tagli barbari alla cultura, alle problematiche di manutenzione si risponde convertendo il patrimonio in un mezzo piegato a fini di cassa, sfruttando intensivamente ed impropriamente il suo pezzo più pregiato, facendo di esso mercimonio e precipitando i beni comuni della storia, dell’arte e della cultura della nostra Città in un mercatismo senza se e senza ma. Verrebbe da dire che si è passati in fretta, con questi antichi paladini del liberismo tremontiano, dalla “cultura che non si mangia” alla cultura che si dà in pasto non per l’elevazione complessiva dei cittadini e il godimento dei visitatori, ma per l’ostentazione del lusso di quelli più agiati, con la scusa consueta e più estrema della cosiddetta dottrina del petrolio d’Italia, o dei giacimenti culturali da sfruttare fino in fondo, in nome della loro messa a reddito.

E’, questo, un film già visto nel nostro Paese ed è la strada più sbagliata per delle politiche di manutenzione e di valorizzazione dei nostri beni culturali che servano ad armonizzare la loro conservazione e la funzione “costituzionale” del patrimonio – quella di produrre innanzitutto cultura –, con un suo utilizzo a fini economici e di sviluppo materiale o turistico. Il provvedimento della Giunta Morroni compromette ogni sforzo compiuto dalle amministrazioni precedenti di restituire vita e bellezza alla Rocca Flea e richiama alla nostra mente centinaia di aggressioni, morali e materiali, al patrimonio storico e artistico del Paese perpetrate in nome del suo sfruttamento a fini meramente economici e della sua messa a reddito.

Questo Sindaco e questa Giunta stanno inserendo anche la Rocca Flea nella lista d’inventario per i saldi della loro fine stagione e non ci sono migliori parole di quelle pronunciate nel 2003 dal Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi per fondare le ragioni delle nostre preoccupazioni e delle nostre fortissime perplessità e pretendere una rettifica del loro provvedimento: “La cultura e il patrimonio artistico devono essere gestiti bene perché siano effettivamente a disposizione di tutti, oggi e domani per tutte le generazioni. La doverosa economicità della gestione dei beni culturali, la sua efficienza, non sono l’obiettivo della promozione della cultura, ma un mezzo utile per la loro conservazione e diffusione. Lo ha detto chiaramente la Corte Costituzionale in una sentenza del 1986, quando ha indicato la “primarietà del valore estetico-culturale che non può essere subordinato ad altri valori, ivi compresi quelli economici” e anzi indica che la stessa economia si deve ispirare alla cultura, come sigillo della sua italianità”.

Nel consiglio comunale di venerdì scorso, mentre cercavamo di argomentare queste considerazioni, al Sindaco è sommessamente sfuggita una battuta sulla nostra presunta “antichità”. Non la consideriamo un’offesa e ne rivendichiamo anzi, almeno su queste questioni, la fondatezza, sentendoci perfettamente a nostro agio in quell’epiteto e rilanciando con lo stesso interrogativo che nel 1796 l’”antico” teorico dell’architettura, filosofo, politico, critico d’arte e archelogo Antoine Quatremère de Quincy rivolse ai suo coevi: “Fino a quando gli oggetti dell’istruzione pubblica verranno considerati come gioielli, come diamanti dei quali non si gode se non per il prezzo del loro valore?”.

Ecco, in questo non abbiamo alcun timore di considerarci degli antichi e come da essi abbiamo ricevuto in dote i segni più preziosi della loro esistenza e delle loro attività, vorremmo allo stesso modo trasferire quel patrimonio ai nostri figli e ad ogni generazione futura, intatto, così come l’abbiamo trovato e, si licet, nel caso della Rocca Flea, così come l’abbiamo recuperato.
Perché la storia, l’arte e la cultura sono dei beni comuni alla pari del patrimonio naturale e della democrazia e perché, nella trasmissione della memoria delle idee, delle manifestazioni e delle realizzazioni umane, si fonda la migliore garanzia per guardare con un po’ più di fiducia al futuro di tutti noi.

Per la sinistra per Gualdo
Gianluca Graciolini


 

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