Elio Clero Bertoldi
Anno 80 aC. Scena: i gradoni di una arena di Roma nell'intervallo di un combattimento gladiatorio. Una splendida matrona, passando sugli spalti tra la ressa, appoggia la mano sulla spalla del più importante degli spettatori e gli strappa un filo della toga. L'uomo, sorpreso dal gesto, si gira e rivolge uno sguardo interrogativo alla sconosciuta - enigmatica ma pure elegante e ricca di fascino - signora. Lei gli risponde con un largo, seducente sorriso e con una frase: "Niente di insolito, Dictator Felix... Voglio partecipare io pure, anche se in piccola parte, alla tua felicità". Quindi prosegue il cammino e si mette a sedere - i posti, all’epoca, non erano ancora distinti e lei, accompagnata dal cugino Marco Valerio Messalla Niger, era ospite di alte personalità repubblicane della fazione degli ottimati - nello spazio riservatole, a pochi metri di distanza dal dittatore. Durante tutto lo spettacolo i due si scambiarono sorrisi e lunghi sguardi. Civettuoli, insistenti, complici. Lei continuava a tenere tra le dita il filo di tessuto strappato. L'uomo, incuriosito ed attratto, fin da subito aveva sollecitato gli amici e i liberti del suo seguito ad informarsi su chi fosse la bella e misteriosa matrona e, a tamburo battente, gli fu riferito che si trattava di Valeria Messalla, figlia di Marco Valerio Messalla Corvino e di Ortensia; sorella di Marco Valerio Messalla Rufo; nipote di Quinto Ortensio Ortalo, principe del foro e scrittore; parente della vestale capo Cecilia Metella Balearica. Insomma, una aristocratica a tutto tondo. E soprattutto libera da legami: di recente, si era separata dal marito. L'oligarca, non più giovane (58 anni) restò affascinato dalla bellezza, dal portamento, dall'eleganza, dal modo di porsi e di parlare di Valeria e nel volgere di poche settimane pronunciò la promessa di matrimonio e firmò i relativi patti. 
Il maturo personaggio, vittima della freccia di Cupido, rispondeva al nome di Lucio Cornelio Silla Felix (138 aC-78 a.C), dittatore, già console (nell'88), stratega, generale e vincitore di un gran numero di battaglie e popoli (tra i quali i Parti di Mitridate Eupatore, ma anche i giugurtini, i cimbri, gli stessi romani partigiani del successore di Mario, L. Cornelio Cinna, travolti a Porta Collina), crudele e spietato come dimostrano le feroci liste di proscrizione nei confronti dei nemici personali e dei "populares", i democratici dell'epoca, decimati in un bagno di sangue. Lo stesso Caio Giulio Cesare, allora poco più che ventenne e sposato con la figlia di Cinna, riuscì a scampare dalle grinfie del dittatore (parteggiava per i popolari ed aveva sposato la figlia del leader della fazione avversa ai sillani), per intercessione della figlia dello stesso tiranno (Cornelia) e del marito di lei (Mamerco Emilio Lepido): “E va bene, lo lascerò in vita - disse Silla cedendo, alla fine, alle insistenze di familiari ed amici - ma ricordatevi che in Cesare vedo venti Marii".  
Dell’innamoramento quasi infantile del dittatore, scrive Plutarco nelle "Vite parallele": "Nessun biasimo per Valeria, la più onesta delle matrone. Silla, invece, si lasciò travolgere da uno sguardo come un ragazzino imberbe..."
Silla veniva da un buon numero di matrimoni. Giulia, sorella di Caio Mario (prima suo comandante e poi diventato il più acerrimo degli avversari ed il suo "competitor" al potere), Elia, Cecilia Metella Dalmatica, che gli aveva dato due gemelli e che era morta da pochi mesi. Valeria gli aveva proprio rubato il cuore. Gli era entrata nel sangue. Chissà che non fosse stato spinto anche dal recente matrimonio e dalla intensa passione amorosa ad abbandonare volontariamente il potere (era stato nominato "Dictator rei pubblicae costituendae", col titolo, appunto, di Felix, nell'82 aC) ed a ritirarsi a vita privata. La decisione delle dimissioni colse di sorpresa tutta Roma, ottimati e populares, senatori e plebei (79 aC). Si racconta che mentre lasciava su un carro la città, Silla venisse "beccato" con pesanti ingiurie da uno sconosciuto. Lui replicò seccamente: "Ti saresti rivolto così a me quando detenevo il potere? Imbecille, in futuro nessun dittatore al mondo lascerà di propria volontà il suo potere".
Libero dalle occupazioni politiche, Silla si abbandonò all'ozio. Non soltanto cominciando a scrivere i "Commentarii rerum gestarum" - sorta di autobiografia in 22 libri completata dopo la sua morte dal liberto Epicadio e andata perduta, tranne pochi frammenti -, ma soprattutto divertendosi, attorniato da attrici, ballerine, suonatrici di flauto, attori e mangiando leccornie e bevendo buon vino, disteso sul triclinio della sua villa di Cuma, in Campania. Sempre Plutarco ricorda che tra i frequentatori più assidui della sala da pranzo e del suo studio (il "tablinium") figuravano il comico Roscio, il mimo Sorice, l'attore Metropio (amato sin da giovane - lo confessò lo stesso dittatore in Senato, scandalizzando gli ascoltatori - e fino all'ultimo "anche se il concupito non era più un giovanotto"). L'uomo che aveva fatto tremare a lungo Roma fu stroncato da un'ulcera intestinale aggravata col tempo o dalla lebbra o da un cancro (le fonti non sono univoche). Le sue carni, si narra, andavano continuamente in decomposizione, nonostante i bagni curativi e le terapie adottate dai medici.
I funerali - organizzati da Gneo Pompeo, divenuto poi noto come Magno - furono particolarmente solenni e videro la partecipazione di ben 120mila veterani. 
Prima di morire Silla dettò il suo epitaffio, nel suo stile cinico: "Nessun amico mi ha reso servigio, nessun nemico mi ha recato offesa, che io non abbia ripagato in pieno".
Poche settimane dopo la morte del coniuge Valeria partorì una figlia (Postumia Cornelia Silla). Pare che anche Valeria si sia spenta di lì a poco. 

 

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