Nel giorno in cui il Governo ha proclamato lutto nazionale per la morte di Silvio Berlusconi e il Parlamento ha cessato l'attività per una settimana in suo nome, pubblichiamo uno stralcio del libro "Amore e violenza. Il fattore molesto della civiltà" che ci pone un tema se cui bisognerebbe andare a fondo. 

di Lea Melandri

A scompigliare gli ordinati rituali della pòlis, a muovere l’indignazione ora moralistica ora politicamente interessata degli avversari, non è solo l’uso spregiudicato di leggi a proprio favore, l’abuso di potere, il disprezzo del parlamento e dei giudici, ma, sia pure in modo più sotterraneo, l’affiorare di una costellazione di tratti maschili disarmati e disarmanti: l’illusionismo magico del sofista, il delirio di onnipotenza del bambino, per il quale il linguaggio è una forza capace di catturare le persone, la parola che affascina e inganna, svia e fuorvia, portando l’altro dove vuole. 

La seduzione è il contrario della razionalità e della rispettabilità, che la politica tradizionale chiede a chi riveste ruoli istituzionali di rilievo. Combatterla invocando verità, rigore morale, separazione tra vita personale e impegno pubblico, non può che sortire l’effetto opposto: svelare la potenza del sottosuolo inquieto e mai domato della politica, o, per usare una suggestiva immagine di Alberto Asor Rosa, “il mare ribollente, infido, ribelle…il mondo delle cose che non siamo stati capaci fino a questo punto di dire”. 

Berlusconi ha fornito al binomio sessualità e politica il ‘nesso’ più facile e superficiale, così scontato da risultare ingenuo, frutto dell’impulso irresistibile di chi si sente investito di un potere illimitato: compensare le donne che gli hanno concesso il piacere della loro aggraziata presenza con l’offerta di candidature, concedere al corpo femminile, alle sue attrattive, un passaporto inusuale di cittadinanza e rispettabilità.

 Nell’ignoranza, reale o voluta, di un pensiero e di una pratica, come quella del femminismo, che ha portato allo scoperto le profonde implicazioni politiche sepolte nel rapporto tra uomini e donne, tra individuo e collettività, biologia e storia, ogni sforzo di districare la poltiglia vischiosa in cui sta sprofondando la sfera pubblica, non può che portare alla biforcazione più nota e prevedibile: ridurre il tratto ‘personale’ del potere a gossip, intrattenimento voyeuristico, spettacolo, o aggrapparsi alla tradizionale, rassicurante ma ormai impraticabile separazione tra corpo e polis, vizi privati e pubbliche virtù.

Lea Melandri, Amore e violenza. Il fattore molesto della civilità, Ed. Bollati Boringhieri, 2011

 

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