di Elio Clero Bertoldi
PERUGIA - Il volto di oggi é quello di Santa Caterina d’Alessandria, particolare della pala d’altare di San Barnaba dipinta da Alessandro Filipepi, detto il Botticelli (1445-1510).
L’opera é datata intorno al 1482-1494 ed é esposta alla Galleria degli Uffizi.
Caterina (287-305), figlia di un re, era una vergine egiziana, che si rifiutò di adorare gli dei pagani, di fare sacrifici e rigettò pure la proposta di matrimonio che l’imperatore (chi dice Massenzio, chi Massimino Daia, appena nominato Cesare per l’Oriente) le aveva avanzato. 
Per questo fu condannata a morte col supplizio della ruota dentata. Appena posta sulla macchina di tortura, un fulmine spezzò il terribile strumento. I carnefici furono perciò obbligati a decapitare Caterina, dal cui collo - narrano le agiografie - invece del sangue uscì latte, simbolo di purezza. 
L’impressione é che il Botticelli, per rappresentare la bellissima santa, abbia preso a modello il volto di Simonetta Cattaneo in Vespucci (1453-1476), morta giovanissima di malattia nel 1476 a Firenze. 
Simonetta, originaria di Genova, quando arrivò a Firenze, nel 1469, sposa del banchiere Marco Vespucci, venne definita “la sans par” (senza pari, in bellezza). 
Tra coloro che si innamorarono di lei (al di là di Giuliano de’ Medici) anche il pittore, che tra l’altro abitava in via Nuova in Borgo Ognissanti, a pochi passi dai palazzi dei Vespucci e frequentava la casa medicea e, pertanto, aveva modo di incontrarla e di vederla spesso.
Probilmente la bellezza di Simonetta risulta frutto di idealizzazione del circolo culturale mediceo, ma i tratti del volto di Santa Caterina, richiamano la Primavera e la stessa Venere, oltre ad altri dipinti, del Botticelli.
Sicuramente - come sostengono molti critici - sono false le storie del pittore che volle farsi tumulare accanto all’amata Simonetta. 
La vicinanza delle tombe può essere spiegata e collegata al fatto che i Vespucci possedevano una cappella funeraria nella chiesa di Ognissanti e i Filipepi nell’attiguo cimitero.
Tuttavia, siccome la letteratura testimonia di come un bel numero di intellettuali fiorentini  - da Lorenzo il Magnifico (“O chiara stella che coi raggi tuoi"), a Bernando Pulci (“Delizia e zelo del regno di Venere”), ad Agnolo Poliziano (“Candida é ella") - elogiasse e celebrasse la venustà di questa nobildonna, non si vede perché un artista del pennello non si potesse essere infatuato, come gli altri, della “senza pari”. 
Se molti riconoscono come esistente un “amore platonico” tra la genovese e Giuliano de’ Medici (che le offrì pubblicamente la vittoria appena conquistata in un torneo cavalleresco), perché escludere che anche il Botticelli potesse essersi innamorato - sia pure non corrisposto o addirittura senza che l’interessata lo sapesse - di un simile splendore, tanto da prenderla a modello delle sue opere?

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