di Dante Barontini

L'ex segretario generale dei metalmeccanici, Gianni Rinaldini, ora coordinatore della minoranza interna, spara a zero contro una segreteria confederale "complice" del Pd e del governo.

Usa parole molto dure e condivisibili contro Camusso & co, che hanno sostanzialmente preso in giro iscritti e lavoratori proclamando uno sciopero generale che non aveva nessuna intenzione di effettuare e che ha pilotato poi in modo tale da impedire.

La domanda che ci consentiamo di porre è dunque semplice: cosa ci stanno a fare ancora nella Cgil Rinaldini e tanti altri compagni seri?

Capiamo che una grande organizzazione, con una grande storia, che si sente propria perché la si è costruita e rafforzata per una vita (o più, tenendo conto delle generazioni di militanti che si sono passati il testimone anche all'interno della stessa famiglia), sia più rassicurante di un sentiero da percorrere allo scoperto e controcorrente.

Capiamo che ci sia la preoccupazione per i tanti militanti che rischiano di perdere il distacco, ovvero di essere "licenzati" dalla Cgil e di dover quindi tornare all'interno di aziende che non esistono più o che, tra pochi giorni, avranno in mano la possibilità di licenziare chiunque per "motivi economici". La viviamo anche noi, che pure nella Cgil non siamo.

Capiamo infine che ci sia sempre - in una grande organizzazione democratica - la possibilità teorica di rovesciare la maggioranza al potere e riscrivere il programma e il dna di tutto l'apparato. Ma vediamo, seppure dall'esterno, che l'attuale gruppo dirigente sta procedendo senza remore alla "pulizia etnica" in tutte le strutture. Sia che si parli delle "segreterie unitarie" a livello territoriale (ormai prerogativa quasi soltanto dell'Emilia Romagna), sia che si parli dei distacchi.

Vediamo insomma come ampiamente avanzato un disegno di "normalizzazione" della Cgil, con espulsione silenziosa di centinaia di quadri e funzionari "dissidenti". E certo Rinaldini lo sa molto meglio di noi o dei sindacati di base.

Si avvicina dunque il punto di non ritorno, quello oltre il quale la forza organizzata della minoranza in Cgil (i funzionari che fanno capo all'area denominata "La Cgil che vogliamo") diventa talmente ristretta da non consentire più di coltivare il sogn del rovesciamento dei rapporti di forza interni. Anzi, da quel che capiamo, soltanto il fatto che la Fiom resti saldamente a maggioranza "alternativa" ha fin qui impedito che il cerchio si chiudesse intorno ai dissidenti.

Il mondo che abbiamo davanti è completamente mutato. Le dinamiche della "concertazione", che anche in modo pervertito consentivano qualche dialettica interna "migliorativa" di accordi costantemente a perdere, sono ormai alle spalle. Superate, abbandonate dalle imprese e quindi anche dal sindacato confederale storico.

Davanti c'è un futuro in cui l'indipendenza di un soggetto sindacale è tutta da ricostruire, in un percorso difficilissimo e pieno di incognite, oltre che di avversari potenti. Ma, sinceramente, non vediamo alternative a intraprendere questa strada. La via delle "minoranze protette" che un giorno lontano avranno l'occasione per diventare "maggioranza" è chiusa. Per sempre, ci pare.

Fonte: contropiano.org 

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