di Christian Cinti

“Anche al raggiungimento dell’obiettivo del 70% di raccolta differenziata, in assenza di interventi, l’autosufficienza del sistema di smaltimento regionale può essere quantificata in 4/5 anni”.

Non è una sentenza di condanna, ma la fredda analisi contenuta nella relazione che accompagna il documento relativo alla “Situazione impiantistica regionale di trattamento e smaltimento dei rifiuti urbani” redatto dalla giunta regionale. Un dossier “caldo” che non solo analizza il raggiungimento – o meno – degli obiettivi sulla raccolta differenziata nei vari ambiti territoriali (ex Ati, oggi sostituiti dall’Auri, l’autorità regionale per rifiuti e servizio idrico) ma disegna il possibile scenario che aspetta l’Umbria “in assenza di interventi”.

LA SITUAZIONE

Il primo elemento sul quale si sofferma la relazione è il quadro della produzione e dello smaltimento di immondizia a livello territoriale. Partendo dagli obiettivi che la stessa Regione aveva fissato: quota 60% di differenziata entro il 2016, 65% nel 2017 e 72,3% nel 2018. L’analisi dei dati dice che il territorio che per anni ha inseguito il target fissato da Palazzo Donini, adesso è potenzialmente quello che riserva le migliori sorprese. L’ex Ati 4, ossia la provincia di Terni, ha chiuso il 2016 a quota 61,8%, con comuni che però – a cominciare da Terni – hanno accelerato le modifiche al servizio di raccolta e toccato il 70% di differenziata, mettendo una seria ipoteca sull’obiettivo del 2018. Tutto questo, a fronte di percentuali che, fino al 2014, a malapena superavano il 40%. Oltre la soglia del 60% anche l’ex Ati 2 (63,5%) senza però fare risultati da brivido visto che il territorio, già nel 2014, aveva una media del 62,7%. “L’ambito corrispondente all’ex Ati 1 – illustra la relazione – permane ormai da anni su percentuali di poco superiori al 50%”. Fanno eccezione Umbertide e Gualdo Tadino, mentre faticano Città di Castello, Gubbio e San Giustino che non centrano gli obiettivi della giunta regionale. Male anche Foligno, che ultimerà il processo di riorganizzazione dei servizi di raccolta non prima del 2018, e che dunque difficilmente arriverà a superare la soglia del 70% di differenziata. “Situazione ben peggiore si riscontra per il comune di Spoleto, che aveva annunciato di voler completare la riorganizzazione dei servizi entro giugno 2016, con l’attivazione di ulteriori 1.400 utenze domiciliari servite con il modello ‘ad intensità’. A fronte di ciò, la percentuale di raccolta differenziata relativa al secondo semestre 2016 si è fermata al 45%”.

IL “GIALLO” DEI CONTRIBUTI

La “riorganizzazione dei servizi di raccolta domiciliare sull’intero territorio non oltre settembre 2017” è lo strumento essenziale per cercare di raggiungere gli obiettivi di raccolta differenziata, ma anche per “l’implementazione di un sistema di tariffazione puntuale che consenta di introdurre premialità per le utenze virtuose”, innescando un circolo virtuoso per cui gli stessi utenti siano incentivati a differenziare e contribuiscano alla crescita delle quote di immondizia che non finiscono in discarica. Per questo tipo di iniziativa, la Regione ha destinato 400mila euro “per la promozione del passaggio al sistema di tariffazione puntuale” in quei comuni che nel 2015 avevano toccato quota 65% di differenziata. Il contributo doveva essere destinato ad abbattere i nuovi costi del servizio (ipotizzati in circa 10/12 euro ad abitante) coprendo una quota prossima al 50%. Nove i municipi individuati (Bettona, Attigliano, Torgiano, Umbertide, Lisciano Niccone, Montecastrilli, Fratta Todina, Todi e Bastia Umbra) di cui però soltanto due (Bastia Umbra e Umbertide) hanno presentato progetti, incassando circa 200mila euro. Il paradosso è dunque che la Regione, almeno sulla carta, spinge per promuovere una riorganizzazione del sistema di raccolta, mette in conto di spendere dei soldi per agevolare la “rivoluzione”, ma poi i comuni “snobbano” i contributi. Il risultato è che per il 2017, a fronte di circa 1,2 milioni che servirebbero come bonus, sono stati stanziati 600mila euro. Tanto le richieste non arrivano.

DISCARICHE AGLI SGOCCIOLI

E se anche tutti i comuni facessero il loro dovere e venisse raggiunto il risultato del 70% di differenziata, questo potrebbe non bastare. La volumetria residua delle cinque discariche attualmente in esercizio in Umbria (Belladanza, Borgogiglione, Le Crete, Sant’Orsola e Colognola) ammonta a circa 1 milione di metri cubi. Una disponibilità che “si ritiene non sufficiente nel lungo periodo a garantire il soddisfacimento del fabbisogno complessivo regionale”. Visto che, evidenzia la relazione, l’autosufficienza del sistema di smaltimento regionale “può essere quantificata in 4/5 anni”. “Alla criticità derivante dall’attuale indisponibilità della discarica di Borgogiglione (ferma per lo stop all’impianto di biostabilizzazione) si sommerà nel breve-medio periodo l’esaurimento delle discariche di Sant’Orsola e Colognola”.

LE SOLUZIONI

Oltre dunque a dover accelerare su un deciso incremento della raccolta differenziata e ridurre la quantità di rifiuti destinati alle discariche, il dossier della Regione ipotizza due ulteriori passaggi. Il primo: “Avviare una quota significativa di frazione secca ad impianti di incenerimento con recupero energetico” ma fuori dall’Umbria. Cioè, bruciare i rifiuti nei cementifici. Il secondo: valutare, come estrema soluzione, la realizzazione di un “nuovo impianto per il trattamento termico” già previsto nel 2014 dallo Sblocca Italia, che dovrebbe lavorare circa 130mila tonnellate di rifiuti ogni anno. Dove? La relazione è vaga e indica genericamente la “macroarea Toscana-Umbria-Marche”. Trovare la “famigerata X” non è mai stato così complicato.   

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