di Giuliano Calcagni

 

Può la Costituzione,

la nostra Costituzione figlia della Resistenza essere mercanteggiata e diventare oggetto di un patto di Governo ?

Nel Bel Paese succede anche questo, la proposta per la quale saremo tutte e tutti chiamati alle urne il 20 e 21 settembre nasce al tavolo di Governo Salvini- Di Maio e poi traslata come se ci fosse una sequela al tavolo di governo PD – Cinque Stelle.

La proposta sottoposta al voto dei cittadini è la seguente :

passare da 630 deputati e 315 senatori a 400 deputati e 200 senatori.

Indubbiamente una bella “sforbiciata” !

Meno 345 parlamentari, più di 1/3 degli attuali 945.

La proposta nasce dal c.d. “Contratto di governo” del maggio del 2018 tra il M5S e la Lega di cui riporto uno stralcio

“in tal modo, sarà più agevole organizzare i lavori delle Camere e diverrà più efficiente l’iter di approvazione delle leggi, senza intaccare in alcun modo il principio supremo della rappresentanza, poiché resterebbe ferma l’elezione diretta a suffragio universale da parte del popolo per entrambi i rami del Parlamento senza comprometterne le funzioni. Sarà in tal modo possibile conseguire anche ingenti riduzioni di spesa poiché il numero complessivo dei senatori e dei deputati risulterà quasi dimezzato”.

Le nobili ragioni del SI sarebbero dunque almeno due:

1) un risparmio considerevole per le casse dello Stato;

2) una maggiore efficienza del Parlamento.

A questi due motivi se ne aggiunge un terzo: “così ci allineeremmo agli altri Paesi europei, che hanno un numero di parlamentari inferiore”.

Nessuno di questi motivi è a mio avviso sostenibile:

1) Iniziamo dal risparmio per le casse dello Stato.

Si tratta di un argomento solo populistico: se passerà la riforma ciascun (futuro) parlamentare continuerà a percepire esattamente ciò che percepisce oggi.

Se quello è l’intento non occorrerebbe modificare neanche una riga della Carta Costituzionale, basterebbe che la maggioranza si presentasse in aula tagliando i propri stipendi, credo anche riconsegnando finalmente dignità e onore al lavoro politico.

Il risparmio calcolato, derivante dal taglio dei 345 parlamentari, è ridicolo:

100 milioni di euro annui all’anno , 1 , 50 euro: mediamente il costo di un caffè e di un bicchiere d’acqua o di un “cappuciNO”

Se proprio si fosse voluto risparmiare si sarebbe potuto proporre di ridurre di 1/3 ciò che ciascun parlamentare al momento percepisce;

o decidere di acquistare un F35 in meno il cui costo va dai 99 milioni di Euro per un F35 A ai 106,7 per un F-35B.

o ridurre i sussidi alle fonti fossili, che, tra sussidi diretti e indiretti, ammontano – ogni anno – a circa 18 miliardi di euro

Certo è che tra tutti i tagli lineari inferti allo stato sociale, alla scuola, alla sanità questo è certamente il più bizzarro!

2) Sulla maggiore efficienza dei lavori del Parlamento:

Anche dopo la riforma le due Camere continuerebbero a fare ciò che fanno oggi, poichè i lavori non sono regolati in funzione del numero dei componenti di Deputati e Senatori bensì dai rispettivi regolamenti parlamentari, sui quali la Costituzione dice poco ma che furono oggetto di un grande lavoro da parte della prima Prima Presidente della Camera, nonché Madre Costituente, Nilde Iotti.

Se proprio si fosse voluto rendere più snello il sistema si sarebbe, allora, potuto sopprimere il Senato: in questo modo si sarebbe ottenuto, il medesimo risparmio auspicato in termini numerici (315 parlamentari in meno) e una maggiore speditezza dei lavori parlamentari (giacché la legge sarebbe stata approvata solo dalla Camera dei deputati);

oppure si sarebbe potuto razionalizzare meglio il sistema, concependo diversamente la composizione e il ruolo del Senato: trasformandolo in Camera delle Regioni sul modello tedesco, non solo per risparmiare, ma anche per garantire un maggior coordinamento, una effettiva cooperazione, tra lo Stato e le Regioni, magari e sopratutto anche dopo gli strampalati esempi di raccordo sui quali l’esperienza pandemica più volte ci ha coinvolto in analisi e riflessioni.

3) Ci allineeremmo al numero di parlamentari esistente negli altri Stati europei.

Qui bisogna intanto fare una precisazione di carattere metodologico.

I sistemi parlamentari degli altri Stati possono essere molto diversi dal nostro.

Per questa ragione la comparazione va fatta con sistemi più o meno omogenei e comunque distinguendo il numero dei parlamentari presenti nella prima Camera da quelli presenti nella seconda.

In Italia la Camera dei deputati conta 630 membri: il che vuol dire che al momento abbiamo un deputato ogni 98.000 abitanti.

In Germania ad esempio , dove ci sono 20 milioni di abitanti in più rispetto all’Italia, la Camera dei deputati conta 709 deputati;

Il rapporto di rappresentanza è dunque un deputato ogni 116.000 abitanti.

In Italia i senatori sono 315, e cioè: 1 ogni 192.000 abitanti;

in Germania sono 69, 1 ogni per ogni milione e 200.000 abitanti.

Sfugge probabilmente che in Germania i membri della seconda Camera non sono eletti, e rappresentano i governi delle “Regioni” tedesche con funzioni diverse da quelle che svolge il Senato.

La Seconda Camera ad esempio non accorda la fiducia al Capo del Governo.

Nel caso dell’Italia, la necessità di avere un equilibrio tra deputati e senatori deriva dal fatto che le due Camere sono entrambe elettive e fanno esattamente le stesse cose (ad esempio, accordano entrambe la fiducia al Governo).

Questo equilibrio nella rappresentanza è minato proprio dalla riforma costituzionale sottoposta al voto dei cittadini.

Il nodo è proprio quello della rappresentanza: sia dal punto di vista “quantitativo” sia dal punto di vista “qualitativo”.

Se passerà la riforma, l’Italia scivolerà in fondo alla classifica nel rapporto tra numero di parlamentari e numero di abitanti: nel caso della Camera dei deputati si collocherà all’ultimo posto (1 deputato ogni 151.210 abitanti); nel caso del senato al penultimo (1 senatore ogni 302.420 abitanti), seguita, in ciò, solo dalla Polonia.

La riforma, infine, inciderà anche sulla composizione delle Commissioni parlamentari; e poiché occorrerà garantire che tutte le forze politiche siano in esse rappresentate, l’epilogo sarà che, soprattutto in sede deliberante, una manciata di senatori finirà per decidere delle sorti di una legge.

Sulla questione della “qualità” della rappresentanza.

La riduzione del numero non incide su questo, se non in senso peggiorativo. Se la qualità della rappresentanza è già modesta con gli attuali numeri, figurarsi cosa accadrà quando i parlamentari saranno in numero inferiore.

Se si vuole garantire la “qualità” della rappresentanza occorre allora modificare la legge elettorale, non ridurre il numero dei parlamentari.

Mantenere l’attuale legge elettorale dopo aver ridotto il numero dei parlamentari vuol dire solo aumentare il potere delle segreterie di partito nella selezione dei candidati, e quindi rafforzare esattamente ciò contro cui i cittadini vorrebbero votare “sì” al referendum costituzionale: l’oligarchia dei soliti noti e un distanziamento sempre maggiore fra eletti ed elettori.

E non è tanto più accettabile che si subordini il varo di una nuova legge elettorale all’esito del voto referendario.

La riforma parlamentare che andiamo a votare, si badi bene non è quella proposta da Nilde Iotti e dal PCI negli anni ’80.

Il taglio dei parlamentari, così come è stato proposto dai 5Stelle persegue una finalità ambigua che s’inserisce nella campagna denigratoria e delegittimante del Parlamento, magari per sostituirlo con una piattaforma Rousseau.

Di fronte alla decrescita del ruolo e dei poteri dello Stato democratico non si poteva continuare a sommare ai numeri del Parlamento (945 membri) quelli dei nuovi istituti di rappresentanza popolare, per altro assai superiori,ma appariva necessaria una nuova architettura istituzionale mirata al rafforzamento, alla funzionalità dello Stato democratico, del ruolo del Parlamento e di altre istituzioni elettive.

E il Pci proponeva quindi il taglio per rigenerare e rilanciare la centralità del Parlamento che dovrebbe essere eletto con un voto di preferenza numerico affinché siano gli elettori a scegliere direttamente il deputato e non i capipartito come oggi, da oltre venti anni, avviene.

Una pratica che esautora il Parlamento di quella forza di rappresentanza dal basso, che rende liberi gli eletti da qualsiasi vincolo di rappresentanza e direi anche di rispetto con i propri elettori e di collegamento con i territori.

Una pratica che con la vittoria del SI nella consolidata abitudine ai reality show che vive il nostro tempo renderebbe il nostro Parlamento composto non da eletti ma da NOMINATI.

Una pratica che facilita il consolidarsi del senso di impunità che oggi avvolge la politica tutta rispetto a chi dovrebbe rappresentare e che indebolisce drammaticamente la qualità della nostra Democrazia.

Questa é la differenza!

E’ un No che difende la democrazia che tanto abbiamo faticato a conquistare e che ad ogni data rossa di calendario celebriamo con fervore .

è un No che difende la nostra storia e preserva il nostro futuro di donne e uomini che si abbeverano di democrazia.

Pensateci bene.

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