di Fabrizio Cerella

Le recenti elezioni amministrative non hanno solo procurato un duro colpo al berlusconismo e segnalato una rottura tra governo e elettorato, come non si vedeva da tempo. I ballottaggi di Milano, Napoli e Cagliari hanno anche mostrato come candidati credibili con un profilo fortemente riformatore e di sinistra possano conquistare la maggioranza dei consensi tra gli elettori e la società con piattaforme che parlano dell’alternativa: l’impegno ecologista e per la mobilità sostenibile nel caso di Pisapia, la scelta della raccolta differenziata e l’opzione inceneritori zero nel caso di De Magistris.

Ora, la vittoria dei SI ai quattro referendum del 12 e 13 giugno (e soprattutto il raggiungimento del quorum) rappresenterebbe un’ulteriore spallata all’arroganza di Berlusconi e del governo delle destre, che hanno cercato in tutti i modi di oscurare e depotenziare i referendum, hanno scelto di non farli coincidere con le amministrative e hanno provato ad annullare il quesito sul nucleare con una moratoria fasulla. L’occasione è certamente ghiotta, il nefasto governo Berlusconi deve andare a casa, occorre giungere rapidamente a elezioni anticipate.

Ma la vittoria dei SI ai referendum rappresenterebbe anche qualcosa di più, una inversione di tendenza nelle politiche economiche che allude ad un modello sociale e di sviluppo alternativo. La premessa per costruire un progetto di uscita a sinistra dalla crisi, dopo il fallimento della risposta alla crisi data dai governi di destra in tutt’Europa (ma anche di quelli socialisti in Grecia, Spagna e Portogallo, comunque condizionati dal pensiero unico neoliberista). Sarebbe stato auspicabile essere chiamati ad esprimersi anche per l’abolizione della legge 30, per eliminare la precarietà del lavoro, ma la storia è andata in altro modo. Comunque, votare SI per dire no al ritorno al nucleare significa opporsi ad una tecnologia che non offre sicurezza sugli incidenti con fuoriuscita di radioattività (Fukushima docet), che non ha risolto il problema dello smaltimento delle scorie, che non è poi così economica, ma interessa solo alle lobby dell’energia e della finanza.

Occorre seguire l’esempio della Germania, che smantella il nucleare e punta su energie rinnovabili come eolico e solare. Dobbiamo quindi optare per un modello energetico rinnovabile, non dissipatore, territorializzato e democratico. Votare SI ai due quesiti sull’acqua significa opporsi all’ipotesi che l’ente pubblico debba obbligatoriamente defilarsi dalla gestione del servizio idrico, così come prevede il decreto Ronchi, lasciando la maggioranza delle società di gestione in mano a soci privati, ed inoltre significa chiedere che le tariffe dell’acqua non siano condizionate dall’esigenza di remunerare il capitale investito, slegandole così dal dover garantire profitti invece di fornire un servizio universale necessario alla vita.

Con questi referendum vincerebbe l’idea del bene comune e verrebbe sconfitta la logica delle privatizzazioni e del neoliberismo, che vuole regalare alle multinazionali i servizi pubblici locali, trasformandoli in un nuovo mercato deregolamentato. Abbiamo l’opportunità di sconfiggere le politiche che negli ultimi vent’anni hanno mercificato l’intera vita delle persone, le privatizzazioni e liberalizzazioni imposte dai tecnocrati della finanza e dell’economia mondiale. Quelle stesse politiche che ora stanno mettendo in ginocchio la Grecia e azzannando i diritti e le conquiste sociali del popolo ellenico. Scegliamo allora i beni comuni, la ripubblicizzazione dell’acqua, la gestione partecipata, democratica, collettiva e dal basso del servizio idrico.
Infine, diciamo un altro SI per abolire l’obbrobrio del legittimo impedimento, l’ultimo provvedimento ad personam di Berlusconi, per ribadire che la legge è uguale per tutti e sono finiti i tempi dell’illegalità, delle eccezioni, dell’impunità per i potenti e per la loro cricca (quella del bunga bunga, dei grandi eventi, dei furbetti, ecc. ecc.).

Sta a noi moltiplicare l’impegno perché la vittoria dei SI sia l’inizio di un percorso di fuoriuscita a sinistra dalla crisi. Molti stanno sostenendo i referendum perché possono essere la botta finale per il premier. Va benissimo, ci fa comodo, la verità è che sarà un innegabile passo verso un modello di sviluppo alternativo. A noi resta il compito di non farlo rimanere solo un passo, ma di dargli gambe per arrivare alla fine del cammino.
 

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