Quel pomeriggio d'estate
di Roberto Bertoni.
Per la sua generazione, il disastro degli anni Cinquanta, fra le macerie di un’Italietta post-bellica e non ancora rinata, per giunta costretta a fare i conti con l’immane tragedia del Grande Torino di Mazzola, era solo un racconto familiare. Era il dolore dei padri che, dopo aver patito il freddo, la fame, gli stenti, la disfatta dell’ARMIR e le rappresaglie nazi-fasciste, dovevano assistere anche a una Nazionale presa a pesci in faccia in Brasile, dopo una traversata oceanica che neanche Ulisse, in Svizzera e persino dalla modesta Irlanda del Nord che, sessant’anni prima degli errori di Ventura, ci inflisse addirittura la mancata partecipazione ai Mondiali svedesi del ’58. Ma all’epoca si era alla vigilia della felicità, del boom, del benessere e una sofferenza pallonara poteva essere considerata uno dei tanti prezzi da pagare prima di raggiungere l’estasi delle vacanze al mare e della Cinquecento acquistata a rate o del televisore o di tutto ciò che ha reso migliori le nostre vite e che oggi diamo erroneamente per scontato.
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