(AVInews) – Perugia, 23 apr. – Far conoscere più da vicino il cinghiale e le sue abitudini nel territorio dell’Ambito territoriale di caccia (Atc) Perugia 1 e, soprattutto, analizzare la quantificazione del danno di questa specie selvatica all’agricoltura nel comprensorio di riferimento. Con questo obiettivo Atc Perugia 1 ha organizzato nella sede di Confagricoltura Umbria a Perugia l’incontro ‘Il cinghiale questo sconosciuto’, a cui hanno partecipato tecnici del settore, associazioni agricole e venatorie. Ad aprire i lavori è stato il presidente di Atc Perugia 1 Luciano Calabresi che ha spiegato come “i danni che il cinghiale provoca all’agricoltura siano un problema da affrontare. Non possiamo lasciare che in un Atc come il nostro il 60 per cento dei ricavati sia dedicato alla gestione del cinghiale”. Al tavolo di confronto, moderato dal dottore agronomo Maurizio Refrigeri, hanno partecipato i dottori agronomi Giovanni Alberti e Luigi Lamincia che hanno fatto una panoramica su come accertare i danni da cinghiale; i dottori agronomi Raffaele Ricci e Matteo Pennacchi che hanno illustrato la dislocazione geografica e orografica dei danni alle produzioni agricole; il dottore agronomo Diego Contini che ha parlato della stima del danno rispetto a metodologie, colture e variabili; infine, il perito agrario Devis Cruciani e il dottore agronomo Alfonso Saraceni che hanno fatto una stima dei costi. L’analisi è partita da uno studio condotto dall’Atc Perugia 1 sul proprio territorio di riferimento rispetto ai danni causati alle coltivazioni agricole da parte della specie cinghiale sulla base dei dati raccolti, elaborati e asseverati nel periodo 2019-2023 dal ragioniere e perito commerciale Luca Cagiola e dal dottore agronomo Paolo Pizzichelli. Nella quantificazione del danno “aiutano molto strumenti nuovi come i droni – ha spiegato Alberti – che consentono di fare rilievi dall’alto ottenendo un’ottima visuale del danno e dell’appezzamento. Inseriamo poi i dati nel portale di Atc Perugia 1 da cui viene gestita la quantificazione e il risarcimento ai sensi delle leggi regionali vigenti. È una cosa importante, spesso sono danni ingenti, in altri casi sono minori e in piccole aziende, la situazione è molto variegata”. Analizzando il periodo 2019-2023, “nel 2019 – ha commentato Alberti – abbiamo registrato circa 260mila euro di danni complessivi con un danno medio di circa mille euro ad azienda. Questo danno è cresciuto fino a oltre 500mila euro nel 2021 e negli ultimi anni abbiamo riscontrato un calo fino al 2023 con circa 320mila euro di danno. L’andamento probabilmente è frutto di varie situazioni, ma quello che pensiamo abbia influito maggiormente è stato il Covid: in quegli anni non si faceva caccia di selezione, non ci si poteva spostare da un comune a un altro. La mancanza di pressione selettiva che generano la caccia e tutte le attività di contenimento ha fatto sì che la demografia dell’animale esplodesse. Questo a riscontro dell’importanza dell’attività venatoria nel contenimento e nella gestione di una specie che, altrimenti, da endemica, come è giusto che sia, rischia di diventare epidemica, dannosa o comunque problematica per il territorio”. “Con questo studio – ha spiegato Cruciani – abbiamo analizzato quanto costa un cinghiale facendo un calcolo dell’indice economico dato dai costi complessivi liquidati rispetto al numero di capi abbattuti in ognuno dei 14 distretti di caccia al cinghiale in cui l’Atc Perugia 1 è suddiviso. Abbiamo visto che c’è un range molto ampio: andiamo da distretti in cui un cinghiale costa 3 o 4 euro ad altri in cui viene ancora a costare circa 170 euro. È dunque importante capire quali sono i fattori su cui possiamo incidere. Uno dei più importanti, per esempio, è la tipologia di territorio: è chiaro che se abbiamo distretti con colture di pregio la quantità di danni liquidati è molto più alta. Poi ci sono fattori sui quali non riusciamo a incidere, come il valore del mercato dei prodotti agricoli”. “Non ci sono soluzioni semplici a un problema così complicato – ha aggiunto Cruciani, è fondamentale che tutte le parti interessate istituzioni, cacciatori e agricoltori collaborino”. “In conclusione – ha chiosato Refrigeri -, direi che ci sono variabili su cui non possiamo intervenire, come le condizioni meteo o i prezzi dei mercati dei prodotti agricoli, mentre ci sono fattori quali quelli umani su cui si può, come per esempio un maggior coordinamento tra associazioni agricole, venatorie e istituzioni locali”.

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