Tratto da Micropolis allegato al Manifesto di giovedì 8 ottobre 2020 una recensione del prof Renato Covino sul libro Il Profumo delle Utopie:

Un libro complesso, questo di Giuseppe Mattioli, operaio e poi quadro alla Perugina, dirigente di fabbrica sia del sindacato che del Pci. In parte si presenta con le movenze di un romanzo, più che di una autobiografia. Il protagonista, Giacomo Orlandi, trae vita dalle esperienze dell’autore, a cui si intramezzano quelle di altri personaggi incontranti nel corso di una vita ricca di rapporti e di eventi. Tranches de vie, che si sommano a considerazioni sulla politica, vissuta sempre a partire dalla fabbrica, da quella che viene definita la Dolciaria, che altro non è che la Perugina, dove Mattioli ha lavorato per alcuni decenni. Ed è questo il tratto caratteristico del personaggio, di Giacomo, quello di essere fondamentalmente un dirigente di fabbrica. Nella fabbrica fa il suo apprendistato culturale e umano tra la fine degli anni cinquanta e i primi anni sessanta del secolo scorso, nello stabilimento matura le convinzioni politiche che lo accompagneranno per tutta la vita, nell’azienda si svolge la sua carriera professionale che lo vedrà passare da operaio a impiegato e poi dirigente di un ufficio. Non a caso le parti più interessanti del libro sono proprio quelle dedicate all’evoluzione dell’impresa, ai diversi passaggi proprietari, alle strategie che le diverse società che controlleranno lo stabilimento mettono in campo e alle difficoltà che rispetto alle novità vivono il sindacato e i lavoratori. L’autore individua, attraverso la vicenda di Giacomo Orlandi, le svolte ed la lenta trasformazione della Dolciaria: da azienda di punta nel panorama industriale italiana, dotata di una fisionomia culturale ed imprenditoriale, con una classe operaia colta e combattiva, a stabilimento anonimo di un grande gruppo multinazionale. Il lavoro di Mattioli ricorda un passato in cui aspirazioni e sogni erano possibili, confrontandoli con un presente pieno di criticità e di contraddizioni che sembrano insormontabili. Lo fa con una punta di nostalgia, ma senza rassegnarsi allo stato di cose presente.

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