Gli ultimi sondaggi, per quello che valgono, sulla partecipazione alle primarie del Pd danno questi risultati: 2 milioni di votanti: -29% rispetto a dicembre 2013, quando furono 2.814.881, con Renzi elettosegretario col 67,6%; - 39,2% rispetto al 2009, quando i votanti furono 3.102.09 e Bersani venne eletto segretario con il 53,2%; -55,2% rispetto al 2007, quando votarono in 3.554.189 e fu eletto segretario Veltroni con il 75,8%. Ma il punto non è questo. È che Renzi, pur conoscendo i sondaggi e anzi proprio perché conosce i sondaggi, ha fissato l'asticella del successo sopra il milione di voti. Ossia la metà dei voti previsti dai sondaggi. Renzi, 3 anni fa, affermava con pathos strappacuore che bisognava finirla con il fatto che, dopo le elezioni, tutti dicono di aver vinto. Prometteva un'era della verità, della trasparenza, della serietà. Ma Renzi, in questo caso (e non solo) è il classico bue che dice cornuto all'asino: per poter dire che è stato un successo fissa un'asticella così bassa che andarci sotto è impossibile. Insomma siamo al gioco delle tre carte che gli imbonitori fanno fuori dalle stazioni. Nello storytelling di Renzi, tutto è il contrario di tutto, come in Pirandello: "Così è se vi pare". O, se la vogliamo fare più semplice, come il cartello che gli studenti che affrontano la maturità affiggono fuori la classe per farsi coraggio: "Comunque vada sarà un successo". La serietà che Renzi aveva promesso e alla quale in tanti avevamo creduto in buona fede, però, così va a farsi benedire. E la credibilità pure (da un pezzo).

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