La prima reazione alle stragi del 1859 fu uno scoop giornalistico antipapalino
di Elio Clero Bertoldi
PERUGIA - Tra il 20 giugno 1859 e il 14 settembre 1860, Perugia visse un periodo, lungo quasi quindici mesi, particolarmente tormentato. Molti perugini soffrivano in esilio (a cominciare dai fuggiti in tempo dalla presa della città e dagli oltre ottocento giovani partiti volontari per partecipare alle battaglie risorgimentali in Alta Italia); altri pativano ristretti nelle celle della Rocca Paolina; gli abitanti tutti, poi (in città ammontavano a 14.000) erano costretti a sopportare il brusco controllo degli sbirri papalini e le frequenti violenze dell'esercito occupante, tanto che le famiglie più agiate si erano ritirate nei loro possedimenti di campagna. Pesantissima l'atmosfera che si respirava tra le antiche mura, anche per la presenza delle truppe svizzere (non solo svizzere, in realtà, per la presenza di irlandesi, belgi, spagnoli, austriaci, tedeschi) autrici del vergognoso sacco e delle inenarrabili stragi. Nella stragrande maggioranza la popolazione, sebbene non mancassero i fautori (sempre più tiepidi, comunque) dello Stato Pontificio, odiava gli "invasori", che avevano spezzato, con le armi e con il sangue, il sogno della libertà. Senza contare che numerosi perugini già più di due lustri prima avevano rivestito un ruolo importante nella Repubblica Romana; che molti di loro avevano seguito Giuseppe Garibaldi e che, inoltre, le idee liberali, mazziniane, repubblicane godevano di sempre più ampie simpatie tra la popolazione. Insomma l'aria nei confronti del potere temporale papalino - e non solo dai tempi di Paolo III Farnese - si era fatta decisamente irrespirabile alla luce dei barbari massacri di giugno.
Il delegato papale, monsignor Gramiccia, viveva arroccato a palazzo dei Priori, mentre il comando, sotto il profilo militare, della piazza era rimasto al panciuto e maturo generale Anton Schmidt d'Altorf, il "conquisatore" della città alla testa di duemila soldati, armati di tutto punto, cannoni compresi, soprannominato per scherno dai perugini "il conte del Frontone", asserragliato nella munita e sicura Rocca Paolina.
Le stragi - con persone torturate, ferite e gettate giù persino dalle finestre - avevano provocato enorme eco e riprovazione non soltanto a livello italiano, ma anche in Europa e negli Stati Uniti. La crudeltà e la ferocia degli svizzeri campeggiavano, infatti, sulle pagine del "Times" di Londra e dei quotidiani statunitensi a cominciare dal "New York Times", anche perché tra le vittime del sacco figuravano pure dei turisti americani: Edward Newton Perkins, la moglie e la famiglia, due amiche della Perkins e una figlia di una delle due signore. Quest'ultima, la signorina Cleveland, aveva redatto ed inviato una toccante lettera al giornale londinese in cui raccontava, per filo e per segno, il comportamento odioso e brutale dei papalini; mentre il Perckins aveva trasmesso un altrettanto dettagliato rapporto all'ambasciatore degli Usa a Roma, Stockton, narrando l'uccisione di civili inermi - uomini, donne, bambini, persino un aquilotto ed un cane (Sciampagna) -, oltre al fatto di essere stati, anche loro, nonostante si fossero qualificati come cittadini americani, trattati brutalmente, depredati di ogni bene, tenuti prigionieri nell'albergo "La locanda di Francia", dirimpetto alla chiesa di Sant'Ercolano e salvati da soldati avvinazzati pronti ad ucciderli, solo per l'intervento provvidenziale di un ufficiale dell'esercito occupante, Wellauer. Appena ottenuto il salvacondotto per Firenze, i turisti statunitensi, nella tappa di Cortona, in Toscana e subito fuori da confini dello Stato Pontificio, spedirono le loro cronache, che furono immediatamente pubblicate e che suscitarono profonda e vasta indignazione. Le autorità vaticane, col cardinale segretario di Stato Giacomo Antonelli in testa, provarono sulle prime a smentire affermando che le stragi fossero "immaginarie e menzognere", ma pian piano la verità venne a galla, con gran soddisfazione del conte Camillo Benso di Cavour, che si ritrovò in mano carte vincenti da spendere nella politica internazionale contro il potere temporale dei Papi, conservatore, oscurantista, efferato e sanguinario.
Il colpo definitivo alla ormai scarsa credibilità papalina lo diede "La Nazione", il giornale di Firenze, nato (prima uscita il 13 luglio 1859) - a distanza di una ventina di giorni dalle stragi di Perugia ed una cinquantina di giorni dopo la fuga dell'ultimo Granduca, Leopoldo II Asburgo-Lorena - per iniziativa di Bettino Ricasoli.
A Perugia vigeva la tradizione di organizzare, ogni anno, un "Ballo di Carnevale", sempre molto frequentato ed affollato. Ed anche quell'anno le autorità papaline diedero il benestare, anzi sollecitarono, la messa in atto dell'usuale festosa iniziativa. Speravano, in questo modo, di accattivarsi le simpatie dei perugini. La festa si rivelò, invece, un flop clamoroso. Alla serata parteciparono soltanto gli ufficiali svizzeri, i funzionari amministrativi e le mogli, e pochi perugini: un vero mortorio. I perugini ignorarono l'intrattenimento. "La Nazione", per di più, pubblicò un articolo con i nomi dei partecipanti al ballo. E il foglio, entrato clandestinamente in città, si guadagnò una risonanza elevatissima. Un vero e proprio "scoop". Sia perché i "collaboranti" con gli invasori venivano indicati con le generalità complete, sia perché il resoconto era così preciso e dettagliato da lasciare intuire che dietro al colpo giornalistico operasse una ramificata organizzazione, fatta di anonimi e inafferrabili patrioti, in grado di far filtrare a tempo di record notizie interne e di diffondere in ogni ceto sociale i fogli clandestini. Ed infatti nonostante le perquisizioni e gli arresti "il Comitato di Insurrezione" continuò ad operare proficuamente.
Se, infatti, i diversi giornali umbri dovevano subire la censura delle autorità, gli stampati pubblicati al di fuori dello Stato Pontificio, non subivano ovviamente filtri. Tanto che i cittadini - aristocratici, borghesi, artigiani -, si abbeveravano alla testata fiorentina con crescente interesse e continuità, anche per conoscere gli sviluppi della "spedizione dei Mille" di Giuseppe Garibaldi, di cui, sui fogli romani e locali, non veniva pubblicato neanche un rigo.
Le stragi di Perugia, inoltre diedero il destro ai piemontesi, di invadere, al momento opportuno, sulla scia della vittoriosa battaglia di Castelfidardo nelle Marche, l'Umbria ed a liberarla, con i bersaglieri ed i granatieri del Regno di Sardegna, il 14 settembre 1960: il giorno - per i perugini - della attesa rivincita. Ed anche il primo passo verso il Plebiscito e l'annessione al nuovo Regno d'Italia.
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