La potenza di un battito d'ali
di Isabella Rossi
Capita che un intero teatro rimanga con il fiato sospeso. In religioso silenzio. Incantato, assorbito, disarmato, rapito dalla danza. Eppure, niente effetti speciali. Neanche quelli che solleticano a volte la giocosità del pubblico stimolando una partecipazione da stadio. In To pray, presentato domenica scorsa al Morlacchi di Perugia dall’Inc Innprogress_collective, la magia proviene dalla danza. Niente trucchi, solo danza che arriva in tutta la sua potenza taumaturgica. Un capolavoro frutto dell’impegno del talentuoso coreografo Afshin Varjavandi e del percorso umano e professionale dei suoi danzatori: Jenny Mattioli insieme a Luca Calderini, Mattia Mariotti ed Elio Pangaro. Lo testimonia la qualità espressiva raggiunta – e in Jenny anche una straordinaria fluidità dei movimenti - capace di valorizzare la raffinatezza del linguaggio contemporaneo di Varjavandi. Che pesca da più mondi e fa della contaminazione un connubio tra oriente ed occidente, tra tradizione e presente, fra arti visive e arti figurative. Il risultato delle contaminazioni è emozione che fa salire tutti, o quasi, sull’onda lunga della danza. Del resto l’arte chiama ma non obbliga nessuno. Le istantanee raccontano composizioni variabili e sempre perfettamente sincroniche. Fra mudra ed hip hop – bellissime le scelte musicali – fra moviola ed ipnosi, il pensiero è gesto e la sua cifra è la leggerezza. Una che disegna fiori invisibili nell’aria e si tuffa nel cerchio tra nascita e morte, la vita. Il gesto come la danza si trasforma. E’ umano ma anche altro, vegetale, animale. E’ una modalità dell’essere che tende al divino – in equilibrio drammaturgico la tensione costante - per poi ricadere in un regno terrestre. E questa è preghiera perché sa disarmare. Di più, poesia. Perché sa trascendere senza perdere la sua carica di umanità.
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