di Angelo d’Orsi

Si dice che il potere logori; magari Andreotti aggiungerebbe ancora, dall’alto della sua eccezionale esperienza di cose di governo e sottogoverno, che il potere logora chi non ce l’ha. Personalmente, davanti al procedere di tanti governanti – non importa se di questo o dei precedenti Ministeri – comincio a sospettare che il potere renda stupidi. A meno che non si voglia sostenere che l’essere stupido sia un requisito fondamentale per ascendere le soglie del potere.

Fermo restando che, come mi è già accaduto di scrivere in questa sede e altrove, che dopo anni di non governo, questo, di Mario Monti, è un governo; e che in luogo di una banda di malfattori, il cui scopo oltre che l’arricchimento personale e familiare, era la tutela degli interessi del padrone, che casualmente era anche il capo della banda, ora abbiamo un governo, che nondimeno fa gli interessi delle classi dominanti (con qualche pur dubbiosa eccezione al suo interno); e al di là delle delusioni e dello scontento che sta seminando la sua azione politica, sociale, economica, volta al “risanamento dei conti pubblici” (facendo ricorso soprattutto alle tasche dei poveri, tasche più numerose ma senza dubbio assai meno colme di denaro di altre), mi dichiaro sconcertato per certe modalità che stanno emergendo nelle pratiche dei suoi componenti.

Cominciando dalle esternazioni del presidente del Consiglio le quali, dopo un rodaggio prudente, sono improvvisamente dilagate, occupando ogni genere di spazio, specialmente televisivo: la riservatezza di cui si è detto ancora prima che ricevesse l’incarico di formare il governo dove è finita? Lui si difende: deve spiegare agli italiani e alle italiane la manovra di governo, deve farsi capire, accettare e magari pure amare. E a giudicare dai sondaggi la maggioranza del nostro popolo gli dà credito; il che non vuol dire che gli voglia bene; e meno che mai che non cominci a rendersi conto – non tutti, ma una quota consistente di quella maggioranza – che, al di là appunto delle delusioni e delle preoccupazioni, il presidente sta cadendo nella trappola del presenzialismo, che per certi aspetti ormai sta diventando una delle forme del presidenzialismo. Le interviste sono grottesche, e gli intervistatori (che di giornalismo non hanno neppure una vaga infarinatura), appaiono proni, come davanti all’altare da cui aspettano benedizioni, salvezza eterna, oltre che un posto migliore di quello che hanno, magari non fisso…

Già, il “posto fisso”. È questa l’ultima (in realtà già penultima o terzultima) esternazione del prof. sen. Monti, il quale, nella sua improvvisa facondia, sta dicendo un bel po’ di sciocchezze, e, secondo il miglior costume del suo predecessore, o se le rimangia il giorno dopo, o asserisce di esser stato equivocato, salvo poi ritornarci con loro riformulazione. Sono perlopiù battute estemporanee, che possono sempre, alla mala parata, essere liquidate come tali (era solo una battuta, magari “infelice”), ma che in realtà traducono e tradiscono, al di là delle stesse consapevoli intenzioni di chi le fa, una linea politica. Che viene confermata giorno dopo giorno da altri esponenti della compagine ministeriale, dal mitico sottosegretario al lavoro Martone, che ha etichettato come “sfigato” chi a 28 anni non sia già laureato; alla instancabile titolare del medesimo Dicastero, la professoressa che piange, Elsa Fornero, fino alla recentissima battuta della ministra dell’Interno, che deplora che in Italia non ci si voglia muovere, che si preferisca non solo il posto fisso di lavoro, ma una città, magari vicino a mamma e papà. E se pure così fosse, dove sarebbe la colpa dei giovani? E dove Monti, e la sua équipe governativa, assecondata da una legione di opinionisti, dove vedono tutti codesti giovani che lavorano, che hanno casa, che risiedono nella stessa città dove si sono formati, che per pigrizia mentale non hanno voglia di fare esperienze nuove, cambiano occupazione, andando ad abitare – che so? – da Acri (provincia di Cosenza), al quartiere Prati (Roma), smettendo di fare lo spaccalegna (che lavoro noioso, del resto), e facendo per esempio il sottosegretario di Stato?

E perché mai le migliaia di dottori di ricerca che stazionano nelle università nell’attesa di un contratto a tempo determinato, o di un concorso a tempo indeterminato, dopo aver fatto per dieci anni ricerca a spese dei genitori, o pagandosi gli studi grazie a un noiosissimo, orribilmente ripetitivo lavoro di centralinista in un call center, perché non vanno direttamente a insegnare alla Sapienza, puntando direttamente alla cattedra? E perché da Orbassano, Cinisello, Castellammare (una delle due, tanto non cambia), o Trani, i giovani studiosi, invece di accontentarsi – segno di mediocrità – di fare inutile gavetta, non chiedono ai genitori di potersene andar via, e dunque di favorirli un pochino, piazzandoli, anche se con il sostegno di una fondazione bancaria, in qualche bel progetto di ricerca riccamente finanziato? Perché codesti giovani (i “bamboccioni” del pur compianto Padoa Schioppa, ricordate?) non prendono come esempio il sullodato Michel Martone, a 26 anni ricercatore universitario, a 29 idoneo per la cattedra per la cui effettiva presa di servizio ha dovuto però attendere un po’ causa blocco assunzioni, e intanto docente in vari atenei, casualmente figlio di Martone Antonio, potente magistrato (coinvolto nello scandalo P4), e già legato all’ex ministro Brunetta (Martone padre) mentre Martone figlio era consulente dell’ex ministro Sacconi. Vita intensa e davvero poco ripetitiva.

Oppure, come esempio femminile, per par condicio, perché i giovani sfigati o aspiranti noiosoni, non si rifanno a Silvia Deaglio? Chi è? La figlia della ministra Fornero e di papà Mario, entrambi docenti nell’Ateneo di Torino; anche la loro fanciulla, sia pure in altro ambito (Medicina), classe 1974, è docente, anzi professore associato, che per l’età media italiana, costituisce una mirabile eccezione. La media d’età dei ricercatori è intorno ai 50 anni, oggi. E parlo del primo grado degli strutturati nel sistema universitario. Gli associati costituiscono il secondo, subito prima degli ordinari. La Deaglio jr., oltre a ciò, ha ottenuto – per merito, immagino – un finanziamento dalla Compagnia di San Paolo, dove fino al 2010, casualmente, mamma Elisa era membro del CdA, col ruolo addirittura di vicepresidente (per poi passare allo stesso rango nella Fondazione CRT, che ha dovuto lasciare quando è diventata ministra); e tanto per solidificare la propria posizione ha sposato, la giovane, un dirigente di una grande gruppo bancario.

Queste sì sono esistenze a prova di monotonia! Nel secondo Ottocento ebbe grande voga il self-help, dall’omonimo libro di un inglese, Samuel Smiles, che sosteneva che con la forza di volontà e l’intraprendenza si raggiunge qualsiasi traguardo. Ne propongo la lettura obbligatoria, e forti di tanto avallo, e con gli esempi sullodati, i cinquantenni dell’Eutelia, le quarantenni dell’Omsa, i sessantenni dell’Iribus, e tutti i cassintegrati senza speranza di reintegro, tutti i licenziati, tutti i precari che si prostrano davanti a inesorabili funzionari di banca, pietendo un mutuo per comprar casa, e si sentono dire che senza il posto fisso, senza quel noioso posto fisso che assicura un cespite costante e sicuro di finanziamento non si può parlare.

C’è un ultimo però; si sta, a giorni alterni, tirando fuori l’articolo 18, dalla cui cancellazione pare dipenda la salute della nostra economia. Ebbene, in fondo, abolirlo significa per l’appunto andare incontro alle preoccupazioni di questo governo, ossia di scongiurare la noia nel futuro degli italiani: aboliamolo dunque, e il posto fisso diverrà presto un ricordo del passato pleistocenico. E tutti vivranno nella libera espansione della loro creatività, passando di fiore in fiore: oggi si puliranno i cessi, nella stazione centrale di Napoli, domani, se saranno fortunati, avranno un contratto semestrale come addetti alla porta nella sede di una banca a Firenze, dopodomani faranno le stagiste in una fiera commerciale a Verona.

Grazie, Monti, grazie signore ministre, signori sottosegretari, che tanto vi preoccupate della nostra salute mentale, facendoci girare l’Italia, e provare l’incessante brivido della “mobilità”. Che uccide, magari, ma certo non annoia.

Fonte: micromega

Da controlacrisi.org

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