LA POLITICA PERDUTA
di Vito Nocera
Mi e' capitato - dopo anni - di fare un breve tratto nel treno della Circumvesuviana.
Da un lato mi e' piaciuto, il tratto - quello tra Leopardi e Torre del Greco - appartiene ai miei ricordi piu' profondi da ragazzo e attraversa una splendida zona verde fatta di pinete e campagne.
Dall'altro non ho potuto fare a meno di osservare lo stato delle stazioni, i ciuffi d'erba altissimi cresciuti lungo i binari, per non dire della condizione stessa del treno.
Non ho potuto fare a meno di pensare a tutte le discussioni sul Pnrr.
Si dira' ma la Circumvesuviana si sa, poi la Campania, il Sud, eccetera.
Certo, e ma allora l'Emilia Romagna che viene giu', i pesci morti a quintali nei fiumi, e così via.
La sensazione e' di un Paese in balia di se stesso, senza strumenti per tagliare un po' d'erba così come per fare cose utili con le risorse finanziarie del Pnrr.
Governo e opposizione non mi sembrano ne' migliori ne' peggiori di quelli di questi ultimi 8 - 10 anni.
In pratica quasi uguali, piu' o meno - al di la' delle polemiche sulle chiacchiere di giornata - impotenti.
E ora un Paese così si candida (tutti eh, maggioranza e opposizioni) a far da battistrada in Europa.
Ma insomma..
A fronte di ciò, in questi stessi giorni, mi sono occupato della conclusione ( per il momento) della lunga e difficile vertenza Whirlpool.
Li' un pugno di operaie e operai, e qualche sindacalista generoso, hanno condotto una lunga lotta per evitare il licenziamento e creare un'alternativa industriale alla multinazionale che ha spostato la sua presenza da Napoli in Turchia.
Vedremo il seguito.
Intanto e' arrivata l'alternativa di un gruppo con buone possibilita' di sviluppo, gia' presente in 4 continenti, che opera nel campo delle energie alternative, con un progetto serio di reindustrializzazione nel cuore di un'area che e' ormai un deserto industriale.
Un progetto che investe risorse proprie, assume tutti i 312 del bacino ex Whirlpool e si propone di far nascere, nello stabilimento rilevato da Whirlpool, una realta' produttiva e innovativa, un polo di ricerca e anche una attivita' sociale aperta al quartiere. In un Paese così poco capace e operoso mi sembra un fatto su cui accendere qualche riflettore. Anche perché in fondo se lì un risultato e' arrivato forse un motivo strutturale c'e'. Ed e' quel pezzo di classe operaia che lì ha resistito, ha lottato, ha negoziato, ha individuato con intelligenza via via gli obiettivi.
La lezione che arriva da lì e' chiara: senza i soggetti del lavoro, siano essi vecchia classe operaia di provenienza fordista, o i nuovi protagonisti - supersfruttati e precari - delle mille forme del lavoro contemporaneo, non si vince alcuna battaglia ne' si realizzano obiettivi importanti.
Ecco il nodo del Pnrr.
Finche' assisteremo alla pantomima tra governanti (piuttosto confusi e in ritardo), oppositori (che spesso non sanno neppure di che cosa parlano) e organi di controllo (Anac, Corte dei Conti etc) che sembrano piu' preoccupati di arginare iniziative per ribadire la propria autorita' che esercitare controlli, temo che non ne usciremo. In realta' cio' che serve e' un New Deal, prendere queste risorse e investirle per poche ma fondamentali opere pubbliche e infrastrutture necessarie.
Nonostante pandemia e guerra non siamo nelle condizioni dell'America degli anni 30, dove fu decisivo per uscire dalla disoccupazione e dalla crisi sociale.
Di problemi ne abbiamo, diseguaglianze persistenti, questioni legate al lavoro, ma non siamo alla crisi del 29. Un piano di interventi pubblici concentrato e mirato potrebbe rendere piu' robuste infrastrutture carenti o inesistenti da sempre, migliorare le condizioni di sicurezza del territorio, e insieme aggredire la disoccupazione e rilanciare la domanda interna, con un benefico effetto per l'intera economia.
Perderemo questa possibilita'? Spero di no ma temo di si.
Senza un grande movimento di lavoratori - e' questo il vero controllo, di vigilanza e insieme propulsivo, manca purtroppo quel motore sociale che, nel piccolo, per la Whirlpool c'e' stato. E senza questa spinta sociale forte tecnica e politica istituzionale - che dovrebbero invece occuparsi di come realizzare procedure e interventi - giocano a fingere di fare politica.
Difficile dunque che emerga qualcosa.
Eppure se le sinistre, sindacali e politiche, non fossero quelle che sono, se avessero un briciolo di serieta' e cultura politica qualcosa forse ancora si potrebbe tentare. Attingere dal passato, quando al congresso Cgil del 1949 Giuseppe Di Vittorio lancia la proposta di un grande Piano del Lavoro, un grande progetto di riforma economica e sociale per trasformare il Paese.
Una proposta insieme per influenzare gli indirizzi di governo e per mobilitare, a partire dal Mezzogiorno, i lavoratori e il Paese.
Siamo in un altro mondo certo. Ma una cosa così, invece dei tanti - spesso inutili - momenti di mobilitazioni parziali, senza indirizzi ne' un domani, avrebbe almeno il senso di una proposta - insieme di governo e di lotta- compiuta.
Poi chi ha filo tesse.
E invece se il governo brancola nel buio, salvo un po' di attivismo della premier, le opposizioni , tutte, quelle parlamentari e anche quelle cosiddette sociali, stanno dietro ai mille rivoli di un Paese spezzato.
Preda di media (tutti eh, compreso il gruppo Cairo dai cui schermi troneggiano ogni sera i cronisti del Fatto Quotidiano ) supponenti e interessati a ridurre la politica a un ruolo ancillare dei propri gruppi economici di riferimento.
Opposizioni incapaci di tessere un filo che riattorcigli qualcosa nel profondo dell'Italia e costruisca un disegno in grado di offrire qualche vera speranza.
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