La poetessa dall’amore contrastato assassinata a motivo dell’eredità ducale
di Elio Clero Bertoldi
Il ritratto di oggi raffigura l'eugubina Vittoria Accoramboni (1557-1585), poetessa.
Autore dell'opera Scipione Pulzone (1544-1598) detto il Gaetano, perchè Gaeta era la città dove era nato.
Pittore famoso alla sua epoca sia per la committenza religiosa (siamo in periodo di controriforma), sia per quella privata, e poi finito nell’ombra, è stato riscoperto da Federico Zeri a metà del Novecento.
La storia di Vittoria risulta truce in modo particolare: morta assassinata a soli 28 anni!
La sua dolorosa vicenda ha ispirato molti scrittori (Stendhal, tra gli altri); uno di loro addirittura la definì "il diavolo bianco", accusandola di essere stata lei a suggerire al suo amante di strangolare la moglie Isabella de' Medici (di cui abbiamo parlato ieri).
Altri ritengono, comunque, che il duca di Bracciano - che era stato nei vertici di comando della Lega Santa nella gloriosa battaglia di Lepanto del 1571 contro gli Ottomani - fosse così sadico e feroce da non aver bisogno di suggeritori...
A 16 anni Vittoria, descritta dai contemporanei come molto bella, affascinante, distinta nei modi, decisamente colta, fu data in sposa dal padre Claudio (nobilotto marchigiano che si era trasferito a Gubbio, allora terra del Ducato di Urbino) a Francesco Peretti, nipote del cardinale Felice di Montalto, divenuto più tardi Papa col nome di Sisto V.
Quasi subito la giovane sposa divenne amante di Paolo Giordano I duca di Bracciano. Il 17 aprile 1581 gli sgherri del duca (tra i quali il fratello di Vittoria, Marcello) attirarono il Peretti in un tranello in zona Quirinale e lo massacrarono senza pietà.
Cinque anni prima, come anticipato, il duca aveva fatto strangolare la moglie, Isabella. I due amanti, ormai liberi entrambi da vincoli, si sposarono clandestinamente, ma la curia - l'omicidio del Peretti aveva sollevato un enorme scandalo a Roma - annullò il matrimonio e Vittoria fu posta agli arresti domiciliari.
Lei li violò e fu arrestata (un periodo di carcerazione lo subì addirittura in Castel Sant'Angelo) e soltanto alla fine del 1582 uscì di prigione, anche se costretta in esilio a Gubbio.
Tre mesi più tardi tornò libera e nel settembre del 1583, a Bracciano, celebrò nuove nozze con l'Orsini. Immediato il nuovo annullamento del vincolo matrimoniale.
Alla morte di Gregorio XIII, però, i due amanti si sposarono per la terza volta - tale era la passione che li consumava - ma l'elezione a pontefice di Felice di Montalto (zio del primo marito di Vittoria, quel Francesco assassinato) fece precipitare la situazione.
Paolo Giordano e Vittoria ripararono in fretta nella Repubblica di Venezia, prima nella città lagunare e poi a Salò, sul Garda.
Inseguito dai suoi nemici, il duca di Bracciano morì avvelenato (forse per mandato del duca di Firenze, fratello della prima moglie di Paolo Giordano) il 13 novembre 1585.
L'Orsini, prima di spirare, riuscì a dettare il testamento col quale lasciava il ducato e i beni al figlio di primo letto, Virginio ed a Vittoria.
Quest'ultima, morto il marito, si era trasferita, per motivi di sicurezza, a Padova, sempre territorio veneziano.
La Serenissima nominò Ludovico Orsini, parente del duca ucciso e funzionario della Repubblica di San Marco, quale perito per la suddivisione dei beni del defunto.
L'Orsini, però, ambizioso e spietato, coltivava ben altri progetti: diventare cioè il rettore del ducato vista l'età minorile di Virginio, sottraendo la reggenza alla Accoramboni.
Così il 22 dicembre 1585 incaricò i suoi sicari di sbarazzarsi di Vittoria e del fratello di lei, Flaminio, trucidati entrambi nel palazzo padovano in cui risiedevano.
Il senato della Repubblica di Venezia non perdonò il truculento delitto: il palazzo dove l'Orsini si era asserragliato venne preso d'assalto dai soldati del Leone di San Marco. L'Orsini, catturato vivo, fu trascinato in catene a Castelvecchio di Padova , processato e qui impiccato con una corda di seta (per rispetto dell’aristocratica casa del condannato) e color cremisi (a ricordare il sangue versato delle vittime).
Il cerchio di dieci anni di sangue, di tradimenti e di brutali assassinii, si chiude con questa esecuzione.
Della sfortunata Vittoria, resta la tela che la ritrae, elegante e raffinata, ancora ignara del tremendo destino che l’attendeva.
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