di Andrea Fabozzi

Un terzo dell’emiciclo vuoto, 334 depu­tati favo­re­voli, molti meno della mag­gio­ranza di governo eppure suf­fi­cienti per appro­vare la nuova legge elet­to­rale. Che non è una riforma della Costi­tu­zione ma cam­bierà nella sostanza la forma di governo con l’elezione diretta del pre­si­dente del Con­si­glio, al quale sarà garan­tito il con­trollo dell’unica camera poli­tica desti­nata a soprav­vi­vere. Si voterà per l’esecutivo e non più per la rap­pre­sen­tanza parlamentare.

Alle sei e venti del pome­rig­gio l’aula di Mon­te­ci­to­rio chiude un decen­nio di ten­ta­tivi di modi­fica della legge Cal­de­roli licen­ziando un quasi clone, simile nel merito — pre­mio di mag­gio­ranza e "nomi­nati" — e iden­tico nel metodo. Ber­lu­sconi nel 2005 non aveva messo la fidu­cia, ma anche quella legge elet­to­rale fu appro­vata solo dalla mag­gio­ranza di governo. Con qual­che voto in meno alla camera, 323 (e l’opposizione anche allora fuori), solo per­ché non c’era il super pre­mio di mag­gio­ranza, intro­dotto pro­prio dal Por­cel­lum e con­fer­mato adesso dall’Italicum.

La legge da oggi è alla firma di Mat­ta­rella, al quale si sono rivolti alcuni depu­tati di mino­ranza, soprat­tutto i 5 stelle dall’aula di Mon­te­ci­to­rio, per chie­der­gli di non fir­marla. Men­tre il coor­di­na­mento per la demo­cra­zia costi­tu­zio­nale che ha rac­colto le firme con­tro l’Italicum dopo un incon­tro — un po’ tar­divo, ieri — con la pre­si­dente della camera, cer­cherà di far arri­vare il suo appello anche al Qui­ri­nale. In set­ti­mana si riu­ni­ranno i giu­ri­sti che inten­dono por­tare la nuova legge davanti alla Corte Costi­tu­zio­nale, come già il Por­cel­lum, ed è avviata la discus­sione sul que­sito refe­ren­da­rio con il quale comin­ciare a rac­co­gliere le firme per l’abrogazione.

Nes­suno real­mente crede che Mat­ta­rella possa non fir­mare, ma è pos­si­bile che il capo dello stato debba in qual­che modo accen­nare allo squi­li­brio dell’Italicum, che serve ad eleg­gere solo la camera dei depu­tati ma è legge dello stato prima della can­cel­la­zione del senato elet­tivo. A que­sto dovrebbe rispon­dere la clau­sola di sal­va­guar­dia che pre­vede l’entrata in vigore della nuova legge elet­to­rale solo nel luglio 2016. Nulla però garan­ti­sce che per quella data la revi­sione costi­tu­zio­nale sia com­piuta (anzi, le con­vul­sioni nel Pd e la rot­tura del Naza­reno sug­ge­ri­scono il contrario).

La pos­si­bi­lità che il senato debba essere eletto con un’altra legge — il Con­sul­tel­lum, cioè pro­por­zio­nale senza pre­mio ma con alte soglie e una pre­fe­renza — è il primo pro­blema dell’Italicum, soprat­tutto per­ché espone la legge a quella "irra­gio­ne­vo­lezza" che per la Con­sulta è cri­te­rio di ille­git­ti­mità: una volta scelto il sistema pro­por­zio­nale, il legi­sla­tore lo può pie­gare per esi­genze di gover­na­bi­lità ma la distor­sione diventa inu­tile se non c’è garan­zia che al senato ci sia una mag­gio­ranza omo­ge­nea con quella della camera. Anche il secondo pro­blema dell’Italicum ha a che fare con i rischi di costi­tu­zio­na­lità: riguarda la vio­la­zione dell’uguaglianza tra can­di­dati di una stessa lista: il capo­li­sta "blin­dato" non ha biso­gno delle pre­fe­renze, tutti gli altri sì. La tutela del primo in lista con­cessa a Ber­lu­sconi e le plu­ri­can­di­da­ture regalo per Alfano mol­ti­pli­cano il rischio del voto al buio: l’elettore che indica una o due pre­fe­renze lo fa invano se il suo par­tito non risulta il vin­ci­tore delle ele­zioni, e con­tri­bui­sce a eleg­gere il capo­li­sta, per­sino in un altro col­le­gio o circoscrizione.

Un altro pro­blema della nuova legge riguarda il pre­mio di mag­gio­ranza, che asse­gna il 15% dei depu­tati in più a chi rag­giunge il 40% al primo turno, ma assi­cura il 55% anche al vin­ci­tore del bal­lot­tag­gio. Che a quel punto può ben essere un par­tito che è rima­sto al di sotto del 30% al primo turno. Il pre­mio finale, in defi­ni­tiva, può risul­tare più alto di quello asse­gnato nel 2013 dal Por­cel­lum; all’obiezione il governo risponde defi­nendo il bal­lot­tag­gio un vero e pro­prio altro turno elet­to­rale — con la spe­ranza che non ci sia il con­sueto calo di affluenza tra prima e dopo.

Al secondo turno votano anche gli elet­tori di quelle regioni, Tren­tino Alto Adige e Valle d’Aosta, che hanno già scelto i pro­pri rap­pre­sen­tanti con un sistema diverso al primo turno: il che con­ferma che si tratta di un’elezione non tanto dei depu­tati ma del governo e del capo del governo. Pro­prio gli eletti in Tren­tino e Val d’Aosta, se la legge fosse appli­cata alla let­tera, rischie­reb­bero di far salire il numero dei depu­tati oltre la quota costi­tu­zio­nale dei 630: il governo ha rispo­sto a quest’obiezione (dei 5 Stelle) con un invito al buon­senso, e con nes­suna modifica.

Infine, caso unico, l’Italicum tiene insieme lo sbar­ra­mento per le mino­ranze e il pre­mio per la (cosid­detta) mag­gio­ranza. Il risul­tato è una distor­sione spinta della pro­por­zio­na­lità che può dar luogo a risul­tati "bislac­chi". Nel caso — nem­meno tanto limite — di due par­titi sopra il 30%, il primo che sfiora il quo­rum del 40% senza rag­giun­gerlo, e tutti gli altri par­titi sotto la soglia del 3%, ecco che il primo par­tito andrebbe al bal­lot­tag­gio avendo già con­qui­stato tutti i 340 seggi in palio e magari qual­cuno in più. Al secondo turno, allora, potrebbe solo perdere.

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