Pietro, lo chef umbro che in Messico promuove gastronomia e vini italiani
di Elio Clero Bertoldi
PERUGIA – “Historia y Geografia de la Gastronomia regional Italiana” è un libro, in lingua spagnola, che lo chef Pietro Giangrande, da circa quarant’anni trasferitosi in Messico, ha scritto, inviandone una copia ad alcuni amici di gioventù di Todi, dove è cresciuto e si è diplomato (all’Istituto statale di Agraria) e di Perugia (in cui ha conseguito la laurea in biologia e dove ha trovato l’amore della sua vita, Letizia, messicana).
Figlio del maresciallo dei carabinieri Salvatore Giangrande (che redasse il verbale sull’uccisione del maresciallo Zuddas e del figlio sedicenne al Santuario di Madonna del Sasso di Pontassieve il 13 maggio del 1945, cioè la vicenda del partigiano Bube, poi rielaborata nel romanzo di Carlo Cassola, “La ragazza di Bube” e nel successivo film di Luigi Comencini dall’identico titolo) Pietro si è fatto conoscere e stimare come qualificato ristoratore e divulgatore, nel Centro America, della cultura gastronomica regionale italiana ed anche per aver fondato e gestito un ristorante di successo a Guadalajara, la seconda città del paese per numero di abitanti e capitale dello Stato di Jalisco: “Italia Mia”.
Ora Giangrande riversa le conoscenze, la creatività e l’abilità tra i fornelli in una pubblicazione in cui non solo presenta i piatti più significativi della tradizione regionale italiana, ma traccia, sia pure in sintesi, la storia e la geografia di ogni regione. Legando il tutto, come in una ricetta ben amalgamata, in un manicaretto appetitoso e gustoso. Il testo – arricchito di foto di pietanze, di bottiglie di vini e di monumenti, richiami e glorie dell’Italia intera – presenta, per quanto riguarda l’Umbria, la bruschetta aglio e olio, la Palomba alla ghiotta, la torta al testo, le tagliatelle al tartufo, la torta di Pasqua, la carpa del Lago in porchetta e tante altre delizie del palato.
“Sono nato a Palermo – precisa lo chef – ma il mio carattere si è forgiato nei vicoli di Todi – quando qualche prepotente, i bulli giravano anche allora, mi faceva un dispetto, io mi difendevo con i pugni – e nell’Istituto di Agraria per la disciplina e la scuola di vita che ti insegnavano. Ecco perché dedico il libro anche a Todi ed ai tuderti”.
Da ragazzo Giangrande (che ha una sorella, Franca, e due fratelli, Dante ed Enrico) sognava la carriera militare, ma…
“Il professor Franco Serpa di greco mi bocciò al ginnasio e così svanì il mio sogno di entrare alla Nunziatella di Napoli per seguire le orme di mio padre. Deluso dalla mia bocciatura, papà parlò con il preside di Agraria, Giuseppe Orsini e così mi iscrissi all’istituto Augusto Ciuffelli. Gli anni all’Itas si rivelarono importantissimi per la mia formazione e la mia crescita personale, grazie a professori come Fringuelli, Iaiani, Bovelli, Pasqualini, Gagliardini e dello stesso preside Orsini, che sotto un aspetto severo e duro, nascondeva un carattere buono, comprensivo. Certo dovetti staccarmi dagli amici del liceo come te, Carletto Sbrenna, Massimo Giontella o di giochi come Guido Silvi. Legai, comunque, con i nuovi compagni di corso: Adriano Ciani, Eraldo Cricco, Bennicelli, Tiberi, Ciofini, Ricci, Spacchetti. Nel 2016 abbiamo festeggiato alla grande i 50 anni del nostro diploma…”.
Poi il trasferimento a Perugia e l’università…
“Già. Fu mio padre a iscrivermi, a mia insaputa, ad Agraria. Io preferii, però, indirizzarmi su Scienze Biologiche. Mi mantenevo agli studi vendendo libri, mentre d’estate mi spostavo in Svizzera dove facevo il lavapiatti ed il cameriere. A Perugia, all’università per stranieri, conobbi mia moglie Letizia… Tutto avvenne in una di quelle feste in cui predominava l’allegria, lo stare insieme. Io suonavo la chitarra e cucinavo. Ricordo quei tempi – in cui non esistevano le droghe, lo sballo, i chiodi sulla lingua e gli anelli al naso – con profonda nostalgia…”.
Il matrimonio lo celebrasti in Messico…
“Sì, nel luglio del 1978. Ma tornai a vivere a Perugia con Letizia. Lavoravo come collaboratore scientifico della Squibb. Nel 1980 mi concessero la possibilità di trasferirmi in Spagna e l’anno successivo in Messico, con la mansione di direttore alle vendite e marketing del Laboratorio Recordati, altra azienda farmaceutica”.
I tuoi amici rammentano che apristi anche una farmacia…
“Correva il 1984 ed i miei suoceri mi regalarono nella città di Apizaco, un locale, che io trasformai nella Farmacia Todi. Tutto andava per il meglio – mi erano nati tre figli, un maschio e due femmine – ma una imprevedibile crisi economica, unica in Messico nel suo genere, mi fece perdere un capitale rilevante. Fu così che decisi di creare un ristorante che chiamai Italia mia. Locale in cui sono venuti, come clienti, Bill Clinton, il presidente messicano Ernesto Zedillo, i re di Spagna, attori del calibro di Catherine Zeta Jones, Antony Hopkins, Paco Raban…”.
Come gestisci il tuo ristorante?
“Adesso è in mano alle mie due figlie e a mio figlio. Mia moglie aiuta nell’amministrativo ed io controllo la qualità di tutti gli ingredienti. Inoltre due volte al mese tengo lezioni di cucina all’università Marista di Guadalajara e di Città del Messico”.
Proprio nella capitale hai ricevuto un importante riconoscimento…
“Nel 2006 alla presenza dell’ambasciatore italiano in Messico, Felice Scausio, ho ritirato il premio dell’Accademia Italiana della Cucina, nel corso di una sontuosa cerimonia organizzata nell’Hotel Crowne Plaza di Città del Messico. Non nego che mi abbia fatto molto piacere…”.
Pietro, qual è l’insegnamento che ti senti offrire alle giovani generazioni?
“Mai arrendersi. Lottare contro ogni tipo di avversità, perché dopo un tunnel con buio profondo arriva sempre la luce!”.
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