Nel parlare di Cuba non si può fare a meno di parlare dell’America Latina. Un continente attraversato da numerosi cambiamenti politici che hanno influenzato la geo politica del continente americano. Mentre il Brasile di Bolsonaro è stato sotto i riflettori per la gestione della pandemia, per l’atroce devastazione della foresta amazzonica, molti paesi dell’area hanno avuto cambi di regime: l’Argentina è tornata ai peronisti, anche se nelle elezioni di sei giorni hanno visto la vittoria dell’opposizione di destra; i socialisti sono tornati al potere in Bolivia, mentre il Cile ha abolito la costituzione dell’epoca di Pinochet. In Venezuela, invece, continua il governo di Maduro. In generale, gli effetti della pandemia in America Latina rischiano di compromettere la tenuta economica per gli anni a venire. 

Ma la situazione è in continuo movimento ed altri possibili cambiamenti possono avvenire.

In Cile nessuno può sapere come andrà a finire, ma tutti sentono che nulla sarà come prima. Alla vigilia delle elezioni generali, si vota per il presidente e il rinnovo del parlamento, l’incertezza è profonda e non poteva essere altrimenti visto l’accelerazione dei processi scaturiti dalla grande protesta di massa del 2019. Il prossimo presidente e il prossimo congresso si insedieranno a marzo del prossimo anno con le vecchie “regole del gioco” che verranno però eliminate dalla nuova carta. Stando ai principali sondaggi i cileni manderanno al ballottaggio due candidati che sono agli antipodi in quanto a programmi e campo ideologico, ma che hanno un comune denominatore: sono entrambi espressione di una nuova politica, diversa e modificata rispetto all’alternanza tra destra e centrosinistra che ha governato negli ultimi 40 anni. Da un lato Gabriel Boric, 35 anni, ex leader del movimento studentesco e fondatore di Rivoluzione Democratica (RD), partito nato dalle proteste del 2016 e che ha preso il volo dopo le grandi mobilitazioni del 2019. RD fa arte della coalizione di sinistra “Frente Amplio” assieme al partito comunista e ad altre forze minori. Ha preso distanze dalla sinistra Bolivariana, esprime una netta opposizione ai governi di Cuba e Nicaragua, non simpatizza con il chavismo di Nicolas Maduro. I sondaggi gli attribuiscono un 30%, con una possibilità di crescita al ballottaggio con i possibili voti di socialisti e democristiani.

Dall’altra l’ultra conservatore Jose Antonio Kast che fa parte della destra dura e pura nostalgica di Pinochet, fondatore del Partito Repubblicano. 

Questa premessa per poter approfondire un mondo complesso e contraddittorio.

L’America Latina è il continente dove si registra la più bassa redistribuzione del reddito, dove la diseguaglianza e l’oligarchia regnano sovrane e nello stesso tempo è il continente dove sono nate e sviluppate culture alternative nel campo sociale, culturale, politico, religioso. Penso ai tanti grandi scrittori e poeti dal Gabriel Garcia Marquez, a Pablo Neruda a Edoardo Galeano. E penso a quella corrente religiosa che, partendo propria dalla povertà e dall’ingiustizia, teorizza la teologia della libertà: “teologia de la liberacion”, al pensiero di Frei Betto, al ministro della cultura Nicaraguense Ernesto Cardenal, cugino di primo grado del poeta Pablo Antonio Cuadra, durante la prima felice esperienza del governo sandinista; penso a Samuel Riz Garcia vescovo della Chiesa cattolica nel Chiapas, martoriata regione messicana. Un racconto simpatico ci narra che una volta fu fermato dalla polizia messicana, perché era in possesso di un libro dal titolo Marcos, temendo che fosse un seguace del famoso sub comandante, nello scoprire che si trattava del Vangelo di Marco chiesero le scuse. 

Credo che questa teologia rappresenti davvero un punto alto, sia da un punto di vista filosofico religioso che da un punto di vista strettamente politico. Nasce dalla misera realtà di quel continente, dalla volontà di un popolo che cerca un riscatto della propria condizione, dalla necessità di uscire da una sudditanza antistorica; ci parla di emancipazione, di uguaglianza di diritti. E trova le sue ragioni partendo proprio da quella cultura marxista che parla di internazionalismo, della necessità di trasformazione radicale della società, del ruolo degli intellettuali che non possono solo interpretare il mondo, ma che devono cambiarlo.

Ma credo anche che senza l’opera di Che Guevara non sarebbe stata possibile la sua affermazione. Questo grande rivoluzionario, romantico e sognatore, credeva nell’unità dell’America Latina, sosteneva che solo righe imposte dai potenti sulla carta geografica dividono uno stesso popolo. Un popolo diviso solo per gli interessi economici di un’oligarchi che lo tiene imprigionato per mantenere questo status quo. E per tutta la vita lottò per questo ideale. Una realtà, quella sudamericana, che scoprì già da giovanissimo e che raccontò, con l’entusiasmo della gioventù, in quello splendido racconto “i diari della motocicletta”.

“crescete come buoni rivoluzionari, studiate molto per poter dominare la tecnica che permette di dominare la natura. Ricordatevi che l’importante è la rivoluzione, che ognuno di noi, solo, non vale nulla. Soprattutto, siate sempre capaci di sentire nel più profondo qualsiasi ingiustizia commessa contro chiunque in qualunque parte del mondo. È la qualità più bella di un rivoluzionario”

Questo era il suo pensiero, per questo pensiero ha dato la sua vita il 9 ottobre 1967 a La Higuera in Bolivia.

“vale la pena di lottare solo per le cose senza le quali non vale la pena di vivere”, citando sempre il CHE.

E l’America Latina è un laboratorio politico. Grandi speranze spezzate via sul nascere, come fu il Cile di Salvatore Alliende, ma mai assopite, neanche quando tutto sembrava irrimediabilmente compromesso.

Gli USA hanno imposto i propri interessi nei confronti di intere popolazioni costrette alla miseria e alle ingiustizie, non solo in Cile. L’Argentina, il Venezuela, Il Nicaragua, La Bolivia hanno subito la dominazione autoritaria dell’imperialismo statunitense, che ne ha condizionato lo sviluppo e la crescita.

Merita quindi attenzione particolare una piccola isola dei caraibi che resiste a questa forte potenza che ha esercitato, ed ancora in parte esercita, un’egemonia mondiale. In parte, perché l’estremo oriente, la Cina soprattutto, sta superando gli Usa in tutti i campi strategici: dalla tecnologia digitale a quella energetica, da quella economica a quella militare. Di fatto il continente africano è controllato dalla repubblica Popolare Cinese. Il Medioriente, come la vicenda dell’Afganistan insegna, non è più considerata dagli Stati Uniti una regione politicamente strategica. Il trasferimento delle forze armate da quelle montagne all’ isola di Taiwan (ex formosa) ne rappresenta la testimonianza. 

In questo contesto geopolitico in cambiamento continuo, Cuba resta lì, con la forza delle idee della rivoluzione, con l’idea di un mondo alternativo ai soprusi, ai conflitti. Un’idea che parla di uguaglianza e di giustizia, che mostra al mondo la forza di un pensiero critico.

Il primo gennaio del 1959 Cuba ha cambiato la propria storia, ha dato dignità ad un popolo. E da quel giorno di 62 anni fa, di strada ne ha percorsa, nonostante l’assurdo e criminale embargo economico adottato con la mostruosità di una forza opprimente dagli Stati Uniti d’America. Ha saputo accrescere diritti; ha sconfitto l’analfabetismo; ha creato un sistema sanitario efficiente e gratuito, capace di aiutare anche le eloquenti “democrazie” occidentali, così come è successo per la Lombardia durante la prima ondata di Covid; è stato creato il più importante istituto di ricerca biologica capace di produrre tre vaccini anti covid che le hanno permesso di uscire dalla pandemia.

Certo non sempre il dissenso è stato capito, ma mi chiedo dove esiste una minoranza che abbia la visibilità che meriterebbe, dove esiste una democrazia compiuta, dove esiste la libertà.

È forse una democrazia l’imperialismo americano he pianifica colpi di stato, che strozza economicamente un paese, che sostiene i contras, trafficanti di armi e stupefacenti, per sostenere una guerriglia che tende a destabilizzare Paesi e Stati che vogliono perseguire la propria autodeterminazione? È forse democrazia la prigione di Guantanamo?

Se paragoniamo gli stati limitrofi come il Messico, il San Salvador, l’Honduras, Haiti, Panama, ci accorgeremmo che Cuba è un’isola felice, con delle potenzialità che danno speranza per il futuro.

Senza questa determinazione, senza questa forza che le viene dalla spinta rivoluzionaria, non avrebbe resistito agli sconvolgimenti politici dell’ultimo decennio del secolo scorso. 

Il crollo dell’Unione Sovietica, sul cui sistema si basava quello cubano, ha prodotto una grave crisi economica che ha colpito tutto il sistema economico e sociale cubano. Aver saputo resistere a tutto questo vuol dire che la società cubana voleva resistere e voleva difendere un sistema che le ha permesso di uscire da una condizione di subalternità incondizionata degli Usa; vuol dire che la società cubana è matura, che vuole continuare ad essere un punto di riferimento per tutti i popoli, per tutti quegli stati soggiogati da questo capitalismo finanziario. Vuol dire tenere alti gli ideali rivoluzionari e, nel contempo, essere pronti alle nuove sfide che il progresso scientifico e tecnologico quotidianamente ci mette di fronte. Vuol dire non voler abbandonare le conquiste sociali che la Rivoluzione ha permesso di ottenere.   

Ma è proprio questo pensiero critico che si sta assopendo in occidente, in Italia in particolar modo. 

Non esiste più il dissenso, non c’è più indignazione, si resta soli con la propria solitudine.

Aderire, quindi, all’associazione Italia Cuba, vuol dire, secondo me, dare respiro ad un’idea di alternativa di società, alimentare quell’utopia di Rivoluzione che a Cuba è diventata realtà, vuol dire diffondere e sostenere idee di uguaglianza e di libertà, idee antitetiche a chi concepisce il mondo fondato su oligarchie che perseguono i propri fini a danno di popolazioni intere.

Per questo diventa importantissima la cooperazione. Cooperazione che deve ampliare il proprio raggio a livello mondiale, dall’America Latina tutta al continente Africano, oggi, come ieri, ma oggi con ancor più rapacità, saccheggiato e depauperato di ogni sua immensa ricchezza.

L’associazione Italia Cuba è nata nel 1961 su iniziativa di Italo Calvino, che come saprete, nasce all’Avana. 

Il suo impegno è immediato all’invasione americana della Baia dei Porci ed alla conseguente crisi missilistica fra USA e URSS, per testimoniare la vicinanza e la solidarietà verso quella piccola isola contro l’arroganza della super potenza Americana. 

Il grande intellettuale e scrittore aveva già capito cosa significava quella terribile interferenza verso un paese indipendente, situato nel cosiddetto cortile degli USA. L’iniziativa ebbe subito un carattere nazionale e da allora ancora esiste, nonostante gli stravolgimenti geopolitici avvenuti negli ultimi decenni. 

Nel suo ultimo libro, pubblicato postumo, “lezioni americane”, Calvino ci parla di leggerezza, quella leggerezza che ci libera dalle oppressioni, che aiuta a fuggire da quella pesantezza che ci dà fatica. Si paragona a Perseo che, dopo aver ucciso la terribile Gorgone Medusa, scappa con Pegasus, cavallo alato, generato da Posidone dal sangue di Medusa. 

Una metafora importante per il nostro cammino, dobbiamo essere leggeri credendo fermamente nelle nostre idee, e forti delle nostre convinzioni sconfiggere il male del nostro tempo: l’apatia, la non curanza, la superficialità, il qualunquismo, i luoghi comuni.

Su questa malattia si basa la destra sulla quale fonda le sue vittorie.

Quindi, oggi Cuba, oltre a rappresentare una speranza, rappresenta l’esempio concreto dell’alternativa.

Parafrasando un vecchio slogan degli anni 70 all’indomani del Golp Cileno, diciamo “diamo ali a Cuba di domani”

Un caro saluto a tutti e forza a questo circola che sta per nascere

 

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