PERUGIA - Terminata la bella edizione di Umbria Jazz di quest'anno il dibattito avviato da Cesare Barbanera e Vanni Capoccia su Umbria Jazz mi pare interessante. Fanno giustamente notare che questa manifestazione non è un evento - per loro natura effimeri e inutili a volte potenzialmente pericolosi come ha evidenziato la festa di Radio Subasio in piazza IV Novembre – ma una manifestazione stabile da decenni nella nostra regione, non dimentichiamo che oltre Perugia riguarda anche Orvieto ed ora Terni.

Una manifestazione che esporta non solo il jazz ma il nome dell'Umbria e di Perugia nel mondo come è stato fatto in Cina, che ha stimolato il Conservatorio a far crescere l'insegnamento del jazz, che è un'eccellenza economica e culturale umbra fatta nascere in Umbria per merito della Regione Umbria e che per questo motivo è stata riconosciuta di valore culturale tale da aver diritto ad un sostanzioso riconoscimento economico stabile da parte dello stato italiano. Qualità culturale e risorse economiche delle quali Perugia è la maggior beneficiaria, ma delle quali non sembra esserne consapevole o in grado di esserne all'altezza.

Ne sono un esempio la sostanziale indifferenza degli operatori economici che pur traendone tanti vantaggi non contribuiscono, a mio parere, a far apparire Perugia la città di Umbria Jazz; la mole di risorse economiche ed energie profuse in una manifestazione provinciale (nel senso retrivo del termine) come Perugia 1416 che meglio sarebbe stato investire in manifestazioni come Umbria Jazz e Festival del giornalismo; le resistenze a dotare Perugia di una cosa della quale è inconcepibilmente priva: un auditorium di circa 1.400 posti di qualità acustica e architettonica degno della città della fontana Maggiore dell'Arco etrusco e delle sue più importanti manifestazioni.

Un auditorium facilmente ottenibile adeguando il Teatro Turreno del quale Perugia ha bisogno tanto quanto, se non di più, Umbria jazz perché la renderebbe simile ad altre città di pari grandezza che in Europa vivono di musica e cultura.

Paolo Benedetti

 

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