Perchè votare due SI contro la privatizzazione dell'acqua
SMONTIAMO LE BALLE DEI PRIVATIZZATORI
Mito numero 1: con la legge Ronchi (166/2009)si completa la liberalizzazione del servizio idrico integrato.
Falso: acquedotti, depurazione e fognature sono un “monopolio naturale”; affidarne la gestione a un privato, significa privatizzare un monopolio. Perché non può esistere concorrenza in un mercato di questo tipo.
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Mito numero 2: gli acquedotti “pubblici” sono dei colabrodi.
Falso: secondo i dati di Mediobanca, il peggior acquedotto italiano, se guardiamo alla dispersione idrica (litri immessi in rete e non fatturati/abitanti/lunghezza della rete gestita), è quello di Roma, dove l’acquedotto è affidato ad Acea, una spa quotata in
Borsa i cui principali azionisti sono il Comune di Roma, Francesco Gaetano Caltagirone e Suez.
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Mito numero 3: la privatizzazione è un falso problema, perché sono “privati” solo 7 dei 114 soggetti affidatari (dati del Comitato nazionale di vigilanza sulle risorse idriche).
Falso: sette gestori del servizio idrico integrato sono società quotate in Borsa: A2a, Acea, Acegas-Aps, Acque potabili, Acsm-Agam, Hera, Iren; moltissime sono, invece, le società miste pubblico-privato.
E anche le società pubbliche presenti sono comunque società per azioni, cioè soggetti di diritto privato.
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Mito numero 4: “Con questo provvedimento si porta a compimento la riforma dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, tra i quali rientra la raccolta dei rifiuti, il trasporto pubblico locale e la gestione delle risorse idriche” (www.governo.it).
Falso: l’articolo 15 della legge Ronchi (166/2009), oggetto del primo quesito referendario, non può essere considerato una riforma dei servizi pubblici locali.
Disciplina, infatti, solo le modalità di affidamento della gestione del servizio, che “sarà soggetta a gara” e non potrà più essere effettuata in house, ovvero in via diretta.
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Mito numero 5: con la liberalizzazione, e la concorrenza, la tariffa sarà più bassa.
Falso: in assenza di interventi normativi, tutti gli investimenti sulla rete acquedottistica finiscono in tariffa (in virtù della legge Galli del 1994, come modificata dal Dl 152/2006). Ciò significa che a tariffe più basse corrisponderebbe necessariamente un blocco degli investimenti.
“Il calcolo della tariffa è poco trasparente” ha detto Stefania Prestigiacomo, ministro dell’Ambiente, 15 settembre 2010: questo è vero. Il secondo quesito interviene direttamente sul metodo di calcolo della tariffa (chiedendo l’abrogazione dell’articolo 154, comma 1 “Tariffa del servizio idrico integrato” del Dl 152/2006). Il ministro ha ragione: sono pochi i cittadini che sanno che con la loro bolletta coprono gli investimenti e garantiscono al gestore un tasso di remunerazione del capitale investito.
FONTE: WWW.ALTRECONOMIA.IT
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