Barry L. Schwartz racconta il borgo umbro e la sua gente nella rubrica ‘The World Through a Lens’

di Nicola Torrini

Panicale, 19 agosto – Grazie alla presenza di tanti cittadini stranieri che l’hanno scelto come luogo in cui trascorrere serenamente la propria vita, Panicale è stato più volte oggetto di attenzione da parte dei media internazionali. Questa volta è però l’autorevole New York Times a dedicargli addirittura un intero e approfondito reportage a firma del fotografo Barry L. Schwartz. (https://www.nytimes.com/2020/08/17/travel/panicale-italy.html)

Vista l’impossibilità di effettuare viaggi, a seguito delle misure restrittive adottate per limitare la pandemia di coronavirus, a metà marzo il prestigioso quotidiano statunitense ha, infatti, dato vita a una rubrica chiamata ‘The World Through a Lens’ – Il mondo attraverso una lente – con cui alcuni fotoreporter, con i loro racconti e le loro istantanee, cercano di trasportare mentalmente il lettore nei luoghi più belli e intriganti del pianeta.

Nella puntata settimanale di lunedì 17 agosto, è toccato a Barry Schwartz accompagnare virtualmente i lettori del New York Times in qualche posto lontano e sconosciuto. Avendolo visitato pochi anni prima ed essendone rimasto particolarmente colpito, Schwartz ha quindi deciso di condurli nell’antico borgo di Panicale. Era qui, infatti, tra le sue mura secolari, la sua gente e i suoi panorami rurali, che aveva cercato conforto dopo la perdita di un amico.

“Vagare in quel modo in una città millenaria era istruttivo – scrive Schwartz nel suo articolo –. Tanta vita e bellezza sono rimaste nei vecchi muri di pietra, nelle persone che abbiamo incontrato, nel cielo sopra la pianura, che si estendeva – affollata di fattorie – fino all’orizzonte”.

Barry Schwartz, ovviamente, nel suo racconto ci descrive e mostra i luoghi che aveva avuto l’opportunità di vedere e conoscere, come il piccolo Teatro Caporali, il Museo del tulle ospitato nella chiesa sconsacrata di sant'Agostino o la chiesa della Madonna della Sbarra.

Ma Schwartz non si limita a questo. Egli ci descrive gli uomini e le donne che vivono e animano il borgo, l’umanità e simpatia che vi si respira, e anche alcuni particolari degni di nota come l’unione di intenti tra i ‘nuovi’ panicalesi e coloro che da sempre vi abitano e lavorano. “A quel tempo – racconta nel reportage il fotografo statunitense –, c’erano tre droghieri in città e [dai nostri amici ndr] fummo istruiti a comprare da ciascuno di loro, come facevano tutti a Panicale, in parte per tenerli in attività e in parte perché sono tutti così gentili”.

Nel racconto emergono poi le emozioni e i pensieri dell’autore, le sue sensazioni in quei giorni trascorsi a Panicale in riflessione e serenità. “A differenza di Maggie – ricorda Schwartz –, non ero mai stato in Italia. Sono cresciuto a Los Angeles e per tutta la vita ho avuto un’ossessione per l’autenticità, una qualità sfuggente nella mia città natale. È stato un toccasana trovare strade di ciottoli e pareti di intonaco scrostato che non erano invecchiate con mezzi artificiali, e comprare frutta e verdura ordinarie, non ‘heirlooms’”. Termine, quest’ultimo, di cui non ho trovato una traduzione soddisfacente ma che, anche nella sua forma originaria, lascia ben immaginare il significato.

L’Umbria ha, insomma, lasciato nuovamente il segno. Teniamo conto di queste testimonianze…

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