Sarebbero 14 gli agenti delle forze sicurezza dell’Autorità nazionale palestinese arrestati per il loro coinvolgimento nell’uccisione, la scorsa settimana, dell’attivista Nizar Banat, un oppositore dichiarato nel presidente Abu Mazen. Inoltre, il ministro della giustizia Muhammad Shalalda, a capo della Commissione d’inchiesta governativa, ha consegnato al premier Mohammed Shttayeh il suo rapporto sull’accaduto affermando che Banat è stato «oggetto di violenza fisica», che la sua morte è stata «innaturale» e che l’attivista aveva lasciato la sua casa vivo. Shttayeh a sua volta avrebbe consegnato il rapporto alla magistratura militare. Sviluppi che lasciano indifferenti la famiglia Banat. «Ci dicono che diverse persone che hanno preso parte all’assassinio di Nizar sono detenute a Gerico», ha riferito Ammar Banat, un cugino della vittima. «Non abbiamo preso questa notizia sul serio» ha aggiunto «l’Anp non ha rilasciato i nomi delle persone arrestate e non permetteremo che la responsabilità sia addossata a capri espiatori e non a coloro che sono realmente dietro questo crimine orrendo». E per dimostrare che non cesserà di invocare giustizia per Nizar, la famiglia Banat ha diffuso l’identità e le immagini di uno dei responsabili diretti, a suo dire, dell’omicidio. Si tratta del colonnello Maher Abu Al Halawa, vicedirettore del servizio di sicurezza preventiva nel distretto di Hebron.

Centinaia di manifestanti ieri hanno sfilato nelle strade di Ramallah per ribadire, a nome dei palestinesi, la condanna dell’uccisione di Banat e sostegno alla sua famiglia. Il corteo ha scandito slogan e issato cartelli contro il presidente Abu Mazen, di cui ha invocato le dimissioni, e contro la repressione brutale delle proteste messa in atto una settimana fa dalle forze di sicurezza dell’Anp. «Scene orribili che non devono ripetersi mai più, i poliziotti si sono comportati come delle bestie», ci diceva ieri sera Mariam A.H., una attivista, «l’Anp deve decidere se è un regime creato per opprimere i palestinesi e per cooperare con Israele contro chi lotta per la libertà o se i suoi leader e i suoi uomini vogliono cambiare strada e stare dalla parte del popolo palestinese». Si è riferita ai pestaggi di dimostranti e alle molestie inflitte alle donne da agenti dell’intelligence quasi sempre in abiti civili. Anche ieri la polizia ha dispiegato uomini in borghese, armati e con il volto coperto, in particolare ai posti di blocco eretti all’ingresso di Ramallah con l’intento di impedire a palestinesi provenienti da altre città di partecipare alla manifestazione.

Quello delle molestie alle donne, unito alla diffusione sui social di immagini prese dai telefoni sequestrati dai poliziotti a decine di manifestanti, è uno dei temi più scottanti tra le palestinesi in questi giorni. Per le donne è stato uno shock scoprirsi bersaglio di abusi compiuti da altri palestinesi decisi, con ogni sistema, a mettere fine alle proteste contro l’Anp e che hanno ucciso un uomo responsabile soltanto di aver criticato sui social Abu Mazen e le politiche del governo Shttayeh. La giornalista Najlaa Zaitoun ha riferito che alla manifestazione del 26 giugno un poliziotto «ha minacciato di violentarmi e di distruggere la mia reputazione». Da allora vive in uno stato di paura e il pestaggio subito ha lasciato segni ancora ben visibili sul suo corpo. «Non mi sento al sicuro, nemmeno a casa mia», ha detto la giornalista che dalla sera dell’aggressione vive a casa dei genitori.

Il manifesto 05.07.2021

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