PERUGIA - Sempre più povero e senza tutele: sono queste le caratteristiche sempre più chiare che il lavoro ha assunto, anche in Umbria, dopo il jobs act. Lo ribadiscono ancora una volta i recenti dati dell’Osservatorio Inps sul precariato, relativi ai primi 4 mesi dell’anno (gennaio-aprile 2017).

Le attivazioni di nuovi contratti, in Umbria, sono state 25.130, ma di queste solo 3.837 sono avvenute con contratti a tempo indeterminato (a cui vanno aggiunte 1.751 trasformazioni da altri contratti), mentre 18.591 sono le attivazioni a termine, 1.748 in apprendistato e 1.014 stagionali.

Nello stesso periodo le cessazioni di contratti a tempo indeterminato sono state 14.347, con un delta positivo (ma in realtà molto negativo!) pari ad oltre 10 mila unità.

Non va dimenticato poi che nel conteggio complessivo delle attivazioni vengono considerati anche i tanti voucher ancora utilizzati, che si riferiscono a prestazioni estremamente sporadiche e frammentarie e che possono vedere (come ci dice il Ministero del Lavoro) una persona essere considerata e conteggiata più volte. Tant’è che la disoccupazione sostanzialmente non scende e i posti di lavoro reali diminuiscono, mentre la qualità del lavoro precipita sempre di più.

Infatti, dopo i crolli del 2016, in Umbria le assunzioni a tempo indeterminato continuano a calare: -6,2% nei primi 4 mesi del 2017 (contro una media nazionale di -4,4%) e risultano nettamente inferiori alle cessazioni (5.872).

Inoltre, sul totale delle attivazioni abbiamo in Umbria una delle percentuali più basse di contratti a tempo indeterminato sul totale (19,8%) contro una media nazionale del 26,6% già considerata estremamente bassa.

Questi dati ci debbono far riflettere e dimostrano l’esigenza di contrastare tutte le forme di “lavoro povero” che stanno dilagando anche nella nostra regione. Serve invece un'altra politica economica, che ridia diritti e dignità al lavoro, come prevede la Carta Universale dei diritti delle Lavoratrici e dei Lavoratori promossa dalla CGIL.

Mario Bravi (Irres Cgil)

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