di Roberta Lisi

Adicembre scorso l’Istituto nazionale di statistica ha registrato 334 mila occupati in più rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. "Occupati" perché quasi tutti uomini, le donne che hanno trovato lavoro sono solo 37 mila. E non finisce qui: in realtà a leggere i numeri e a saperli interpretare, rispetto all’occupazione, non c’è affatto da star sereni.

I numeri del lavoro

Secondo l’’ultimo bollettino dell’Istat, “a dicembre 2022, rispetto al mese precedente, aumentano occupati e disoccupati, mentre diminuiscono gli inattivi. L’occupazione cresce (+0,2%, pari a +37 mila) per uomini, donne, dipendenti permanenti, autonomi e per tutte le classi d’età, a eccezione dei 25-34enni, tra i quali diminuisce; risultano in calo anche i dipendenti a termine. Il tasso di occupazione sale al 60,5% (+0,1 punti)”.

Bene si dirà, certo. Ma se si allunga lo sguardo al trimestre ci si accorge che, in realtà, la dinamica dell’occupazione rallenta, risente delle difficoltà dell’economia. Infatti, a febbraio si registrava un aumento di occupati di 786 mila in un anno.

Occorre riflettere con attenzione

Interpretare i dati non è cosa banale, commenta la segretaria confederale Cgil Tania Scacchetti: “Siamo di fronte a un rallentamento della ripresa occupazionale negli ultimi mesi dell'anno, rallentamento legato alla fase di grande incertezza economica e al rischio di una nuova fase recessiva”.

La preoccupazione aumenta se si guarda al medio e lungo periodo. "Negli ultimi mesi del 2022 - continua la dirigente sindacale - ancora il mercato del lavoro risentiva positivamente del rimbalzo dell’economia seguito alla pandemia. Oggi scontiamo gli effetti di aumento dei prezzi delle materie prime, non solo di gas e petrolio, dell'inflazione e del rischio recessione. Il Paese non è stato ancora in grado di attivare, per quanto riguarda almeno la creazione di posti di lavoro, le promesse del Pnrr".

Il lavoro delle donne, che non c’è

Se va molto molto bene, il tasso di occupazione femminile si attesta attorno al 51%. Come ci ricorda la statistica Linda Laura Sabbadini dalle pagine della Stampa: “Le donne ce la mettono tutta. Sono state le più colpite dalla pandemia, hanno raggiunto il minimo tasso di occupazione nel giugno 2020 con il 47,3%, hanno avuto una grande capacità di recupero, anche se soprattutto attraverso lavori precari”.

Ma a fronte del grande impegno femminile a scalare posizioni, è il sistema Paese che non fa quasi nulla. "L’Italia, per tasso di occupazione femminile, si è fatta superare anche dalla Spagna che stava peggio di noi, affiancare dall’Irlanda e per le giovani anche dalla Grecia", conclude: "Eppure le donne italiane sono più istruite e formate degli uomini di pari classe di età. Quanto sapere e quante competenze sprecate".

Le critiche

“In realtà – riprende Scacchetti – per la politica e per l’economia l’occupazione femminile non è mai stata una priorità. Non ci sono scelte politiche, economiche, sociali coerenti con la necessità per il Paese di portare più donne nei luoghi di lavoro”. E già, non basta dire che occorre far aumentare l’occupazione femminile e non basta nemmeno scrivere che il 30% dell’occupazione scaturita dal Pnrr deve essere indirizzata alle donne se poi non si vincolano appalti e investimenti a questo obiettivo.

Un esempio? “Nella legge delega sugli appalti portata in Parlamento pare sia saltato l’istituto della parità di genere", sottolinea la segretaria confederale Cgil: "Un istituto che l'obiettivo di valorizzare le politiche e le pratiche che possano ridurre il divario di genere nelle opportunità di crescita occupazionale, nei livelli salariali, nei ruoli all’interno delle imprese. Se così fosse saremmo di fronte a una scelta grave, che considera i temi della parità di genere come questione burocratica e non come una necessità per far ripartire con maggiore sostenibilità e maggiore equità la crescita del Paese”.

La vera sfida

Una strada per invertire questa nefasta tendenza ci sarebbe e porterebbe frutti positivi anche all’economia e al ben-essere di cittadini e cittadine. Un vero piano di occupazione nei settori pubblici. Dice ancora Scacchetti: “Dalla scuola alla sanità, passando per i servizi alla persona, questi sono settori ad alta intensità di manodopera femminile. Sono anche i settori bloccati da tagli e stop al turn-over. Basti pensare che quel po’ d'immissioni realizzate negli ultimi mesi non hanno accresciuto la base occupazionale del pubblico, quindi non hanno minimamente scalfito quell'emorragia di dipendenti nei settori pubblici che denunciamo da circa dieci anni”.

E gli investimenti del Pnrr rischiano di non aver alcun effetto positivo: quelli servono a costruire le infrastrutture materiali, gli asili e le case di comunità, ma per farle funzionare serve personale. È ancora la segretaria a parlare: “Occorre affiancare agli investimenti europei una grande mobilitazione della spesa corrente sul personale pubblico, non come una voce di costo, ma davvero come voce di consolidamento di un modello di sviluppo diverso”.

Numeri drogati

C’è una questione, infine, che una lettura superficiale dei numeri non restituisce. “Credo vada sottolineata - conclude Tania Scacchetti - che comunque la crescita dell'occupazione, che guardiamo naturalmente con favore, soprattutto quella del lavoro a tempo indeterminato, s'inserisce in un quadro ancora molto preoccupante. È una crescita condizionata, quasi drogata dalla riduzione della base demografica. In realtà non siamo di fronte a una crescita vera dell'occupazione, quell’aumento rischia di essere determinato solo dalla riduzione del denominatore fra occupati e popolazione”.

Fonte: Collettiva.it

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