Mi viene in mente Carlo Azeglio Ciampi: sarà il momento storico, sarà la crisi, saranno le difficoltà e l'assenza di visioni e progetti di questa drammatica stagione, ma avverto il bisogno di parlarne. 
In occasione dell'uscita di "Non è il Paese che sognavo", il suo libro dedicato ai centocinquant'anni dell'Unità d'Italia, l'ex presidente della Repubblica rilasciò un'intervista a Serena Dandini nel corso della quale asserì: "Nel '44, tornai nella mia Livorno dal fronte greco-albanese: non avevamo né acqua né luce né gas eppure avevamo il cuore pieno di speranza". 
Ho sempre pensato che Ciampi fosse rimasto quel ragazzo di Livorno, il partigiano, l'azionista, l'uomo del rigore e della fantasia, dei sogni e dell'impossibile, un servitore dello Stato come forse non ne nascono più ma, soprattutto, una personalità in grado di restituirci l'appartenenza, la passione e l'orgoglio di essere italiani. 
Quando penso a Ciampi, penso al secolo o quasi che ci separa dalla sua nascita, alla nascita del PCI nel '21, al martirio di Gobetti e alla tragedia di Gramsci, al fascismo, alla Resistenza, alla Liberazione e all'immaginario nel quale si è formato e ha agito questo italiano da esportazione grazie al quale ho compreso il senso dello Stato e i doveri di un uomo pubblico. 
E penso alle sue scelte e al suo coraggio, alla sua fantasia e alla sua follia, direi quasi all'utopia di un uomo con i piedi per terra e gli occhi rivolti costantemente verso il cielo. 
Venne chiamato a governare nel '93, in piena Tangentopoli, fra arresti, suicidi illustri, stragi mafiose e un clima di sfacelo, di finemondo, di abbandono, mentre crollava la Prima Repubblica e si affacciava il vuoto, con i suoi partiti sempre meno solidi e la sua mancanza di analisi e di profondità. Eppure riuscì a rimettere in sesto i conti pubblici, a restituire alla lira un minimo di credibilità e a porre le condizioni per quello che, qualche anno dopo, durante il governo dell'Ulivo, sarebbe stato il suo capolavoro, ossia l'ingresso nell'euro. Non solo: quando tutti, comprese personalità non inferiori alla sua e con i piedi, a loro volta, ben saldi a terra, gli sconsigliarono di scegliere Napoli come sede del G7 italiano del '94, lui, con un sorriso disarmante, scelse proprio Napoli, regalando alla città anni di rinascita, di benessere e di sviluppo. 
E che dire del summenzionato ingresso dell'Italia nell'euro, quando nessuno o quasi ci credeva e la credibilità di Ciampi e Prodi riuscì nell'impresa che ci tiene a galla tuttora? 
E poi la Presidenza della Repubblica, il suo approdo naturale, il compimento di un percorso umano e professionale di altissimo livello nonché la posizione dalla quale si è potuto battere per la libertà d'informazione, ha potuto ripristinare la festa del 2 giugno, ci ha convinto ad esporre il tricolore alla finestra e ha restituito alla parola Patria quel valore risorgimentale e resistenziale che ha sempre avuto e che oggi sembra essere andato perduto. 
Del resto, per Ciampi la Resistenza è stata "il nostro secondo Risorgimento" e ciò che è venuto dopo il processo di sviluppo dei princìpi costituzionali, cui ha dedicato l'intera vita, anche ben prima di salire al Quirinale. 
Per questo, non mi sorprese affatto ciò che raccontò in un intervista alla rivista AREL, ossia che nel 2008, pur essendo un noto avversario del governo Berlusconi, andò in Parlamento dopo il crollo della Lehman Brothers per rassicurare gli italiani, da ex governatore, sulla stabilità del nostro sistema bancario. 
Ciampi che, peraltro, divenne governatore della Banca d'Italia dopo la drammatica vicenda di Baffi e Sarcinelli, negli anni di Marcinkus, dello IOR e del divorzio andreattiano fra il Tesoro e Palazzo Koch, degli scontri fra Andreatta e Formica e della spesa pubblica impazzita del governo Craxi e, successivamente, del CAF, quando ormai la Prima Repubblica mostrava la corda e i partiti storici altro non erano diventati che macchine di potere e di clientela, prossime all'implosione. 
Ciampi, da buon livornese, è sempre stato un uomo di frontiera, un uomo per stagioni difficili, un uomo che seppe mantenere i nervi saldi anche quando, nel luglio del '93, temette un colpo di Stato e che seppe condurre il Paese fuori dall'abisso e tenere testa ai suoi nuovi padroni e alla loro devastante arroganza. 
Penso a Carlo Azeglio Ciampi, alla sua attenzione ai giovani, alle sue parole di incitamento e ai suoi costanti insegnamenti, al suo amore per la gioventù e alla sua gioia nel veder crescere una nuova generazione europea ed europeista.
Penso a lui e mi rendo conto che un Sanders ce l'avevamo anche noi e che il fatto che non ci sia più non è un buon motivo per dimenticarne la passione civile e i messaggi straordinari, per trascurarne la saggezza e perderne di vista la guida. 
Ciampi è stato un protagonista di primo piano di oltre mezzo secolo della nostra storia e a lui dobbiamo guardare con entusiasmo, al cospetto dei generali senza truppe, superbi e irrispettosi, che vediamo all'opera di questi tempi. 
Penso a Ciampi e poi rifletto sull'intervista rilasciata dal belga Timmermans la scorsa settimana all'Espresso: pallida, insignificante, intrisa di un riformismo stucchevole e di maniera e, purtroppo, per nulla sorprendente, se si considera che racchiude la non visione del degno vice di Juncker e del leader un PSE ormai allo sbando totale. 
Penso a questo mediocre candidato dei sedicenti socialisti alla guida della Commissione europea e al fatto che sulla stessa rivista, per leggere una critica a Macron e ai narcisi attualmente al potere, ho dovuto far ricorso a Sofia Ventura, autorevolissima politologa di scuola liberale che in qualunque altro paese sarebbe una splendida avversaria mentre da queste parti esprime spesso le mie stesse convinzioni. 
Penso a questa sinistra vuota, a questi riformisti parolai, a questi innovatori gattopardeschi, all'incapacità della sinistra italiana di solidarizzare con il resto del mondo e di trovare un minimo di empatia con le altre formazioni progressiste e mi vien voglia di lasciar perdere.
Poi, per fortuna, penso nuovamente a lui, al ragazzo di Livorno, alla sua fantasia ai limiti dell'incoscienza, alla sua ricchezza di idee e al suo amore per la Marsigliese, e in quel momento mi torna una voglia sconfinata di fare politica e di prepararmi a dovere per occuparmene al meglio.
Ciampi, un illuminista, un azionista, un grande italiano e un giovane rimasto tale nel cuore per tutta la vita. Se una nuova generazione, la nostra, vuole prendere per mano il Paese e sconfiggere il "sovranismo psicologico" di cui ha parlato il CENSIS nel suo ultimo rapporto non può che ripartire da lui. 
 

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