Per non dimenticare
di Elio Clero Bertoldi
Il monolocale, tutto a soqquadro, presentava schizzi e macchie di sangue raggrumato sul pavimento e sulle pareti, neanche fosse il retrobottega di un macellaio. Terrificante, nel piccolo bagno, la scena del delitto. Il corpo della ragazza, le gambe flesse e il piede sinistro al di là della soglia, giaceva supino sul pavimento. La maglietta alzata sin sopra l'ombelico, scopriva le carni cianotiche. Blue jeans e mutandine arrotolati lungo la gamba sinistra e abbassati sino alla caviglia sulla gamba destra. La testa della sfortunata giovane era stata sbattuta più volte sul lavabo e con tale violenza che la maiolica risultava scheggiata in più parti. "Non ho visto mai nulla di simile...", mormorò, con voce scossa dalla commozione, un investigatore di lungo corso uscendo dalla casa, dopo il primo sopralluogo, quella tarda mattinata del 14 ottobre 1977.
Lei, la vittima, si chiamava Maria Teresa, figlia unica e luce degli occhi di due anziani signori di Città della Pieve. La giovane, 25 anni, lavorava come segretaria di un istituto scolastico dell'Alta Val Tiberina. Viso dolce, capelli lunghi e mori, corporatura media, Maria Teresa non passava inosservata: possedeva una bellezza discreta, non ostentata, tutta acqua e sapone. Giovane riservata e al tempo stesso espansiva, appassionata di musica (studiava chitarra e cantava), in quei mesi stava vivendo forse la prima importante storia d'amore, come dimostrava, tra l'altro, la felicità e la serenità che portava stampate sul volto e che non sfuggiva a chi la conosceva, anche superficialmente.
Chi poteva averla uccisa e per di più in modo così feroce, crudele, bestiale?
Che quello di Maria Teresa fosse un delitto a sfondo sessuale lo "fotografava" la scena del crimine, scoperto su segnalazione delle bidelle della scuola, preoccupate che la segretaria non si fosse presentata in istituto per ben due giorni di seguito e senza darne alcuna comunicazione ai superiori e al preside. Particolare strano e anomalo per una ragazza così puntuale, precisa, rispettosa. Non aveva potuto farlo, diceva ora quel corpo orribilmente martoriato, perché era stata trucidata nella mattinata dell'11 ottobre come testimoniato, in primis, dal suo orologio da polso fermo proprio su quella data.
L'appartamentino, in Città di Castello, di Maria Teresa era situato al primo piano di una palazzina in stile liberty di tre piani, dove erano stati ricavati sette mini-appartamenti. La porta fu trovata chiusa a due mandate, mentre la stufetta elettrica risultò ancora accesa, in funzione. La luce, invece, era spenta. L'assassino aveva arraffato e portato via la borsetta e il portafoglio della padrona di casa. La polizia scientifica dell'Arma documentò, con tutta una serie di angoscianti fotografie, il sangue all'altezza della porta d'ingresso, sul davanzale della finestra e anche sulla strada sottostante, sull'avvolgibile delle serrande, intorno al tavolo dell'angolo cucina, sul tappeto di ciniglia; particolarmente copiose le tracce ematiche sul pavimento e sulle pareti del bagno. Tra le dita della mano destra della vittima un ciuffo di capelli, che gli esami appurarono appartenere ad un uomo di razza bianca (strumentazioni più sofisticate all'epoca potevano esser trovate solo in Giappone, ma non c'erano soldi per spedire il reperto in Estremo Oriente). Sul pavimento il gommino di un crick da automobile, una penna a sfera macchiata di sangue e il foglio di uno spartito musicale con l'orma, rimasta impressa col sangue, del tacco di un mocassino maschile. Gocce ematiche anche sul pianerottolo e sulle scale condominiali, a salire. Sul tavolo un quaderno aperto su cui, con la sua calligrafia, Maria Teresa aveva iniziato a risolvere una operazione, rimasta interrotta: 17 x 15.000 = 25.
I primi sospettati furono tre operai nigeriani che, però, vennero scartati subito dalla lista investigativa: presentarono un alibi insormontabile. Quindi le indagini si indirizzarono verso l'inquilino del terzo piano della palazzina, un boscaiolo di 28 anni, snello e nerboruto, che risultò esser stato abbandonato qualche giorno prima (il 7 ottobre) dalla convivente, una procace signora bionda. Un amico del sospettato - descritto come un focoso dongiovanni di campagna - dichiarò agli inquirenti, che il boscaiolo in quelle ore "presentava un'idea fissa dentro di sé e neppure lui sapeva quale fosse" e che gli aveva confidato quanto la ragazza del piano di sotto gli piacesse e che "una volta o l'altra, con le buone o con le botte, ci starà".
Il legnaiolo venne arrestato dai carabinieri. La procura di Perugia gli contestò l'omicidio aggravato (per la particolare crudeltà, la sofferenza fisica inflitta alla vittima, la brutalità dell'aggressione, il motivo abietto), il ratto a fine di libidine, la tentata violenza carnale, il furto. I periti medico-legali accertarono che la morte di Maria Teresa era stata provocata da un "grave trauma cranio encefalico" e che la vittima aveva subito anche la frattura delle ossa nasali, la lesione dell'osso ioide (con riduzione del volume dell'intensità della voce) e manovre di strozzamento. Non solo: certificarono che la poveretta avrebbe potuto essere salvata, con soccorsi immediati, in quanto sopravvissuta, sia pure in coma, per diverso tempo (36 ore, per la precisione).
L'inquilino del piano di sopra - questa la ricostruzione dell'accusa - avrebbe bussato alla porta di Maria Teresa che gli avrebbe aperto senza sospetto. Avrebbe chiesto, il boscaiolo, la cortesia di un conteggio delle giornate di lavoro, che lui non era in grado di fare, avrebbe spiegato alla ragazza. Maria Teresa, allora, avrebbe fatto accomodare l'ospite e si sarebbe seduta al tavolo per risolvere la moltiplicazione: 17 giornate di lavoro per un salario giornaliero di 15.000 lire. Non avrebbe fatto in tempo a scrivere il risultato della moltiplicazione sul quaderno che sarebbe scattata, improvvisa, l'aggressione del bruto. Maria Teresa, sdegnata, si sarebbe alzata di scatto, respingendo le volgari avances. Ed allora sarebbe stata colpita, a pugni, al volto (frattura del setto nasale) e alla gola (lesione osso ioide). La ragazza avrebbe tentato di gridare “aiuto” affacciandosi alla finestra sulla strada (gocce di sangue repertate sull'asfalto), ma la lesione allo ioide l'aveva resa praticamente afona. E nessuno sentì le sue invocazioni. Invano, allora, avrebbe cercato divincolandosi, difendendosi disperatamente, di rifugiarsi e di chiudersi nel bagno. Era riuscita a barricarsi, ma l'aggressore aveva impugnato il crick, lasciato lungo le scale condominiali e con quello aveva letteralmente scardinato la porta (la serratura era stata recuperata, divelta dal legno, sul pavimento). A quel punto l'assalitore si era scatenato, con furia cieca, sulla sfortunata giovane, trasformandosi da brutale aggressore in spietato, crudele e cinico assassino.
Il boscaiolo, che ha sempre negato gli addebiti, venne sottoposto a perizia psichiatrica, che lo definì "abnorme psichico e psicopatico", ma capace di intendere e di volere. La corte d'assise di Perugia (presidente Zampa), nel febbraio del 1979, riconobbe l'imputato colpevole e lo condannò a 27 anni di reclusione. In corte d'assise d'appello (presidente Piero Biscarini, a latere Giovanni Morani) si rinnovò l'aspro scontro tra le tesi dell'accusa (che chiedeva di non concedere le attenuanti generiche, riconosciute in primo grado e di infliggere all'imputato l'ergastolo) e la difesa (affidata all'avvocato Gianni Zaganelli, estremamente pugnace e dalla voce tonante) che sollecitava una nuova perizia psichiatrica, per far riconoscere al suo assistito la malattia mentale, almeno in forma parziale, con conseguente abbassamento della pena. Il nuovo esame psichiatrico venne accordato dopo l'appello-bis. I periti - Dante Cosma e Ottorino Bacchi - sostennero che l'imputato presentava una "personalità disarmonica e psicotica di tipo amorale", ma ne riconobbero la capacità di intendere e di volere. I giudici - siamo nel febbraio del 1982 - sulla scorta della prova logico-critica e dei 10 indizi gravi, pendenti sul legnaiolo, quantificarono la condanna in 24 anni (tre anni di condono), che poi venne definitivamente approvata, nel 1984, dalla Corte di Cassazione.
Il boscaiolo - che ha continuato a proclamare la sua innocenza - ha scontato la pena ed é tornato libero, ormai da molti lustri. Chissà dove sarà finito il ritratto fotografico, appoggiato in un angolo del monolocale, con Maria Teresa che guardava lontano, verso il nulla, con un sorriso.
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