Il 4 agosto 2020, al termine dell’incontro al Quirinale per la celebrazione del
cinquantenario delle Regioni, il Ministro Boccia dichiarava che l'emergenza
Coronavirus aveva spinto l’Italia in una nuova fase del regionalismo, in cui “Il Paese è
diventato tra i più sicuri al mondo grazie alla collaborazione tra Stato e Regioni fatta
in emergenza assoluta. Oggi abbiamo il dovere di completare l’attuazione del Titolo
V, completando il progetto di autonomia differenziata”. In audizione il 18 novembre
nella Commissione bicamerale per le questioni regionali il Ministro, di nuovo
esaltando la qualità del servizio sanitario, ha affermato che con la crisi Covid il
regionalismo italiano vive una nuova fase, fondata sulla collaborazione e sulla
concertazione.
A nostro avviso, invece, proprio la crisi Covid smentisce clamorosamente le parole
del Ministro. Lo provano le differenti capacità dei territori di rispondere
all’emergenza, che hanno svilito il servizio sanitario nazionale configurato nella legge
833 del 1978, e i ricorrenti contrasti tra Stato e Regioni. Tutto concorre a dimostrare
che una pandemia non si affronta con i localismi. Le più recenti parole di Mattarella
ne danno testimonianza. E proprio per la crisi Covid voci autorevoli hanno chiesto di
recuperare al centro la tutela della salute.
Sono al tempo stesso forti i timori che l’autonomia differenziata accresca ancora i
divari territoriali e le diseguaglianze nei diritti fondamentali, e apra uno scenario di
frantumazione del paese e di lesione dell’unità della Repubblica. Rischi contro i quali
il ddl sull’attuazione dell’autonomia differenziata (cd legge-quadro) non offre
adeguate garanzie.
È dunque sbagliata e va corretta la scelta, improvvida e affrettata, di accelerare
con il collegamento alla legge di bilancio il percorso parlamentare della legge-
quadro. Le oggettive difficoltà del confronto, e il potenziale impatto sul futuro del
paese, impongono una lettura attenta. Ne indichiamo alcune linee essenziali
nell’allegato.

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Vi chiediamo di evitare qualsiasi forzatura garantendo il dibattito approfondito di
cui il paese ha bisogno, e che il Parlamento non ha mai avuto occasione di svolgere.
Grazie per l'attenzione
CDC e altri

NOTA di APPROFONDIMENTO del CDC nazionale
Il pluralismo e l’articolazione delle istituzioni repubblicane sono e devono essere
moltiplicatori di energie positive, ma questo viene meno se, nell’emergenza, ci si
divide. Dobbiamo far ricorso alle nostre capacità e al nostro senso di responsabilità,
per creare convergenze e collaborazione tra le forze di cui disponiamo perché
operino nella stessa direzione. Anche con osservazioni critiche, sempre utili, ma
senza disperderle in polemiche scomposte o nella rincorsa a illusori vantaggi di
parte, a fronte di un nemico insidioso che può travolgere tutti.
(Intervento del Presidente Sergio Mattarella, per l’apertura della XXXVII Assemblea
ANCI, 17.11.2020).
Il DDL collegato alla Nadef 2020 , presentato dal ministro Boccia come legge-quadro
applicativa dell’art.116.c.3,Cost. non fornisce risposta sui seguenti punti cruciali e
ineludibili:
1) Natura della legge di recepimento delle intese, emendabilità delle stesse e
ruolo del parlamento.
Va affermata la natura sostanziale della legge di approvazione delle intese con la più
ampia e incondizionata facoltà del Parlamento di proporre modifiche, indirizzare,
accettare o rigettare le intese medesime. Al contrario, ove si ritenesse tale legge
puramente formale – come quelle che approvano le intese ex art. 8 Cost. – si
produrrebbe un mutamento costituzionalmente illegittimo della forma di governo e
di Stato. Infatti potrebbero ritenersi ridimensionati in modo inammissibile i poteri
del PdR di rinvio alle Camere della legge di approvazione e pure quelli della Corte
Costituzionale sui contenuti dell’intesa, e assisteremmo all’insostenibile paradosso
per cui il Parlamento continuerebbe ad essere titolare del potere di revisione
costituzionale della distribuzione delle competenze di cui all’art.117 cost., ma non

avrebbe alcun potere nel caso in cui una diversa distribuzione delle competenze
venisse decisa ex art. 116 cost. da una intesa degli esecutivi regionali e nazionale.
Andrebbe piuttosto considerata, come il PdR stesso ha sottolineato, l’attuazione del
disposto dell’art.11, commi 1 e 2, della L. 3/2001, integrando la Commissione
parlamentare per le questioni regionali con rappresentanti delle Regioni, delle
Provincie autonome e degli Enti locali.
Condizioni necessarie per qualsiasi attribuzione di maggiore autonomia
A. Va detto in premessa che le “forme e condizioni particolari di autonomia”
possono – non devono – essere attribuite rispettando il principio dell’unità e
indivisibilità della Repubblica sancito dall’art. 5 Cost., e specificato dall’art. 120 in
termini di unità giuridica ed economica.
Appare dunque di per sé insostenibile la richiesta di maggiore autonomia in tutte o
nella grande maggioranza delle materie ex art. 117, commi 2 e 3, Cost., che viene
avanzata dalle bozze di intesa fin qui note. Va preliminarmente notato che nelle
materie concorrenti la potestà legislativa di dettaglio è già della regione. Dunque, se
fosse richiesto un trasferimento di potestà legislativa, si intaccherebbe la potestà
statale di dettare i principi fondamentali, con evidente lesione del modello generale
dell’art. 117.
In ogni caso, si produrrebbe una disarticolazione del paese, come si mostra in specie
vero laddove si consideri la devoluzione di materie quali “porti e aeroporti civili” ,
“grandi reti di trasporto e di navigazione”, “ordinamento della comunicazione”, “
produzione trasporto e distribuzione nazionale dell’energia”, “ armonizzazione dei
bilanci pubblici e coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario” ,
“tutela e sicurezza del lavoro” , “alimentazione”, “governo del territorio”. Nella
conseguente frammentazione la Repubblica una e indivisibile non potrebbe
sopravvivere. Lo stesso vale per la scuola, per la valenza di fondamento dell’identità
nazionale che ad essa deve riconoscersi. Mentre la pandemia in atto dimostra con
assoluta evidenza come la regionalizzazione estrema abbia prodotto squilibri
inaccettabili nella tutela di un diritto fondamentale come quello alla salute, ed abbia
altresì gravemente indebolito la capacità di fare fronte all’emergenza.
B. Qualunque riconoscimento di autonomia differenziata deve trovare fondamento
e giustificazione nella dimensione regionale dell’interesse, che collega la richiesta a
specifiche esigenze della Regione richiedente e la rende compatibile con l’unità della
Repubblica. Ciò vale per tutte le richieste di maggiore autonomia, e in modo
particolare per quelle avanzate in materie assegnate alla potestà legislativa esclusiva
dello Stato, come le “norme generali sull’istruzione”, e la “tutela dell’ambiente,
dell’ecosistema e dei beni culturali”. In tali materie il rischio di ledere il principio di
unità della Repubblica è particolarmente alto. Sul punto i pre-accordi sottoscritti il

1
28 febbraio 2018 e le intese provvisorie successivamente raggiunte non hanno mai
fornito risposta, limitandosi a genericissimi e apodittici richiami.
La legge-quadro proposta non può rispondere alle esigenze qui indicate. È infatti
inidonea, in quanto legge ordinaria, a porre limiti alle leggi che approvassero intese
di contenuto difforme, verso le quali non è gerarchicamente sovra-ordinata. Non
può in specie considerarsi norma interposta prevalente rispetto a quelle di
approvazione delle intese, per l’inapplicabilità del modello alle leggi ex art. 116., co.
3, della Costituzione. Si potrebbe, al più, affermare nella legge-quadro il principio, di
valenza politica, che talune materie non consentono alcuna forma di maggiore a
particolare autonomia per la valenza strategica ai fini dell’unità nazionale, come ad
esempio – per ragioni diverse – la scuola o le grandi infrastrutture.
L’inadeguatezza della legge quadro non viene superata dalla sola previsione di una
disciplina per la definizione dei LEP. I livelli essenziali delle prestazioni non
potrebbero né prevenire né impedire la frammentazione del paese derivante
dall’autonomia differenziata. Attengono infatti al livello del servizio, e non
all’organizzazione dei poteri pubblici che lo forniscono. La prova si trae dai LEA,
equivalente sanitario dei LEP, che non hanno evitato il sostanziale dissolvimento del
servizio sanitario nazionale.
Definizione dei LEP e dotazioni finanziarie
I LEP possono essere - a seconda del modo in cui si costruiranno - argine alla
diseguaglianza ovvero positivo fattore di uguaglianza. La preventiva definizione dei
LEP e dei fabbisogni è la condizione per determinare le risorse necessarie a
finanziarli e non viceversa come sinora avvenuto. I diritti civili e sociali sono il fine,
la disponibilità e l’efficienza economica sono il mezzo per raggiungere quel fine: così
anche la Corte Cost. con la sentenza 275/2016. I Lep, cioè i Livelli essenziali – non
minimi – delle prestazioni relative a sanità, istruzione, lavoro, non autosufficienza,
prestazioni sociali, ambiente, devono trarre la loro base giuridica e politica dai
principi e dagli scopi rinvenibili nelle leggi quadro nazionali, così come la L. 833/1978
istitutiva del SSN lo è per i LEA, e devono essere adeguatamente finanziati o si
rischia che la loro sola definizione sia del tutto insufficiente a garantirne l’esigibilità
e l’uniformità in tutta la nazione.
Una volta definiti i LEP, sarebbe fondamentale definire a legislazione vigente – a
proposito dei soggetti istituzionali che dovranno dare applicazione ai medesimi- “un
sistema integrato di livelli istituzionali che operino nei territori di competenza e
nell’interesse della cittadinanza in un quadro di principi inderogabili e universali”
(documento sul Titolo V della CGIL nazionale, febbraio 2018)

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