Noi continueremo a lottare, dentro la crisi e contro la crisi
E' Difficile mutare il corso della storia quando le trasformazioni sociali imposte dalla crisi vanno così a fondo nel tessuto sociale del nostro Paese, ne abbiamo avuto prova sabato scorso. Il 15 ottobre dicono in molti segna una svolta, altri dicono che ci ha cambiato tutti, altri ancora ci ammoniscono ricordandoci che avevano previsto tutto perchè non si poteva convocare una manifestazione in quella maniera. Tutti hanno una parte di ragione nel mosaico della ricostruzione collettiva della giornata e tutti una parte di responsabilità, compreso il sottoscritto. Penso però che innanzitutto il 15 ottobre abbia prodotto dei risultati significativi dal punto di vista politico di prima grandezza. Quando si riassorbiranno le ferite delle vetrine rotte e le immagini degli scontri, ci troveremo di nuovo al punto di partenza con la crisi in aumento, la Merkel che propone il commissariamento dell'Italia, ed una classe politica incapace di fornire risposte adeguate ad una crisi che rischia di portarci in una deriva autoritaria della quale tra l'altro si fa promotore uno dei maggiori partiti dell'opposizione. In pochi mi pare stiano riflettondo nelle loro analisi del post 15 ottobre, sul fatto che nelle prossime settimane, per come stanno andando le cose nei piani alti dell'economia il nostro paese si troverà al centro del vortice della crisi globale.
E' proprio l'Italia, che dopo la Grecia, rischia di essere il Paese in Europa in cui più forte sarà la ristrutturazione capitalista contro i diritti dei lavoratori. Ieri la Merkel e la BCE hanno proposto un nuovo giro di vite per i trattati con la possibilità di limitare la sovranità degli stati che non rispettano il patto di stabiltà, una cosa gravissima sul piano istituzionale. Austerity come vincolo esterno nelle scelte economiche e autoritarismo come modello di gestione interno della crisi sono pertanto le coordinate principali dell'attacco eversivo delle classi dominanti. L'utilizzo strumentale degli incidenti del 15 ottobre da parte del nostro governo (e non solo) per produrre un clima che tende a soffocare la mobilitazione sociale contro le politiche dell'austerity rientra in questo quadro. Lo fanno perchè sono in difficoltà sul piano dell'egemonia, ma sarebbe un errore pensare che questo sia semplicemente dovuto agli incidenti romani che comunque hanno fornito su un piatto d'argento un ulteriore giro di vite. La deriva autoritaria, il passaggio dallo stato sociale minimo a stato penale massimo è una tendenza che investe il corpo sociale delle società occidentali da decenni (basta vedere il record del tasso d'incarcerazione, e la composizione di classe delle carceri in rapporto al processo di disciplinamento alla legge della precarietà ed al ritiro del welfare).
Ora questo modello di gestione sociale della crisi si trasferisce sul piano politico utilizzando gli stessi strumenti legislativi e le stesse campagne mediatiche utilizzate per i soggetti ritenuti socialmente indifendibili: chi abusa di sostanze, gli ultras, ecc. Tra poco insomma istituiranno la tessera del manifestante e la dose minima di bandiere. C'è però in questo terreno un elemento di novità che il 15 ottobre ha prodotto: il popolo ora conosce i suoi avversari tra i quali non c'è più solo Berlusconi. Fino a poche settimane fa la lettera di Mario Draghi era oscurata dalle mutandine colorate delle amanti del premier, oggi sempre di più sanno che cosa significa BCE e patto di stabilità. Nel giro di una settimana non c'è stata filiale della banca d'Italia che non ha visto riconsegnata al mittente la lettera della BCE negli applausi generali della popolazione. Per quanto possa fare repubblica.it ed i sondaggi di gradimento di Ballarò creati ad hoc per banchieri e padroni, c'è un popolo che ha capito ed è sceso in piazza mettendo al centro la rivolta contro le politiche di austerity. Questo elemento non è una cosa di secondo ordine, perchè in Italia tende a rimuovere dalla base il meccanismo in cui l'antiberlusconismo giustificava qualsiasi scempiaggine.
Il popolo italiano non ha più un solo avversario. Non più solo Berlusconi, ma anche la BCE e le sue politiche, e quando c'è un avversario c'è la possibilità della lotta di classe, questo grazie al 15 ottobre. Da questo punto di vista giudico di un certo interesse le dichiarazioni di chi produce la crisi tese alla comprensione delle istanze prodotte dal movimento contro l'austerity. Vuol dire che le classi dominanti hanno capito che non sono più egemoniche, e questo non è affatto un elemento secondario vista la portata globale del movimento di indignazione popolare. Detto questo abbiamo vari problemi che cercherò di schematizzare brevemente: la rabbia sociale esiste e lotta assieme a noi e contemporaneamente contro di noi, ne abbiamo avuto prova durante il corteo quando in maniera organizzata, abbiamo visto il suo utilizzo da parte di alcuni soggetti, volto ad affermare una linea politica ben definita con azioni contro simboli del potere, utilizzo che ha coinvolto anche i manifestanti che non lo condividevano.
Non quindi la rabbia che esplode spontaneamente ma rabbia che si aggrega su dimensioni organizzate che hanno una finalità precisa, attaccare i simboli del potere e costruire su quello un nuovo codice di simbolico per una prospettiva politica. Inoltre, non dobbiamo ghettizzare la rabbia sociale ma sconfiggere sul piano politico, culturale e della gestione della piazza chi la utilizza per un progetto politico differente dal nostro. Esiste secondo me una sfida interna nell'esito della rivolta contro il colpo di stato monetario che stiamo subendo dentro la quale giocare la nostra partita. Una sfida che potremmo che si snoda in due direzioni. La prima produce una rottura utilizzando il contesto principale dello scontro di piazza, per affermare l'autonomia e l'irrappresentabilità dei soggetti antagonisti. La seconda produce si una rottura, ma lo fa utilizzando il contesto principale delle pratiche sociali, dell'autorganizzazione e della democrazia nel conflitto sociale. Dal mio punto di vista, la prima finisce per ritorcersi contro le istanze che vorrebbe rappresentare, mentre la seconda serve al popolo schiacciato dalla crisi. Per questo motivo, mentre dobbiamo sporcarci le mani per costruire un'organizzazione che incontra la rabbia sociale figlia di quest'epoca, dobbiamo al tempo stesso muoverci per contrastare chi la utilizza per un progetto politico già morto in partenza, di cui abbiamo visto per decenni i fallimenti.
Su questo terreno però vedo molte inadeguatezze, forse la più grande è l'incapacità dei soggetti organizzati a fondersi nell'azione collettiva dentro la crisi, molte infati sono state le reciproche diffidenze tra le strutture del coordinamento del 15 ottobre (dovute a differenze di analisi e prospettive sul percorso futuro). Si è voluto utilizzare sin dall'inizio il termine "coordinamento" per avere una struttura più leggera di un "comitato", ma ciò ha finito per deresponsabilizzare l'organizzazione e svuotare uno spazio che invece doveva essere il luogo per dare continuità al percorso.
Da questo punto di vista ritengo che il 15 ottobre ci abbia cambiato tutti.
Penso che questa manifestazione ci abbia detto che ci sia bisogno di un partito come il nostro, organizzato, radicato e capace di mobilitare. Cio' vuol dire innanzitutto avere anche la capacità di produrre iniziativa politica autonoma ed organizzazione dentro la crisi e contro la crisi. Per questo se da un lato è fondamentale continuare a mettere il nostro partito a disposizione dell'indignazione popolare, promuovere e collaborare già da ora per la costruzione di spazi pubblici per rilanciare e sostenere il movimento di indignazione, altrettanto lo è produrre iniziative di mobilitazione autonome e per fare ciò penso che vadano cambiati i tempi e i luoghi della politica e dell'azione collettiva. La crisi è soprattutto un fattore che interviene nel vissuto quotidiano delle persone, tende a farle sentire isolate, le angoscia e gli cancella il futuro. Tutto ciò in una situzione in cui lo stato sociale scompare. La cooperazione, la mutualità, l'autorganizzazione sono gli elementi principali perchè nessuno - da chi difende il posto di lavoro a chi è sotto sfratto - resti solo nella crisi. Le pratiche sociali sono l'elemento con cui intervenire nella dimensione popolare per aumentare la consapevolezza e far comprendere chi è il vero avversario contro cui lottare.
Le pratiche sociali hanno quindi una doppia funzione, quella di favorire un progetto di alternativa da eleborare come intellettuale collettivo ( costituente dei beni comuni?) e quella di dare risposte parziali ma concrete a chi non arriva a fine mese. E' partendo da questo spazio che secondo me si riempe quel vuoto politico che abbiamo visto nel corteo di cui c'è enorme bisogno a sinistra.
Piobbichi FRancesco - dip. Partito Sociale PRC
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