Musacchio sul rapporto tra politica e strutture tecniche
Vogliamo discutere seriamente sul rapporto tra politica e strutture tecniche e cioè su democrazia, programmazione, partecipazione e controllo?
Nell'epoca della ricostruzione fisica e democratica dell'Italia dopo la seconda guerra mondiale c'era una idea (nonostante tutto) per cui occorrevano un indirizzo e una programmazione delle scelte.
E nella Costituzione c'è un un'ordinamento predisposto all'attuazione dei principi sociali della prima parte.
Concretamente furono molte le forme organizzate che vennero istituite per realizzare questi principi.
Si pensi alla Cassa del Mezzogiorno, all'IRI, alle Partecipazioni Statali, ai Comitati interministeriali per la programmazione economica, per l'Edilizia Residenziale, per il controllo dei prezzi ecc.
Chiederei di guardare a queste istituzioni con l'occhio democratico di allora e non con quello di oggi che butta il bambino con l'acqua sporca.
Ad un certo punto infatti l'acqua sporca fu utilizzata per buttare ciò che non era più previsto nella nuova fase.
Quello che non era più previsto era la programmazione e il ruolo del pubblico in economia.
Ci furono anche fasi intermedia in cui strutture nate pubbliche praticarono politiche privatistiche e di interessi. Io ad esempio ho molto contestato il ruolo di Enel ed Enea a favore del nucleare.
Ma ad un certo punto si dà via libera al più gigantesco processo di privatizzazioni avvenuto in Europa occidentale. Processi pari si hanno solo nei Paesi dell'Est. E in contemporanea si smantellano le istituzioni preposte a gestire programmazione e pubblico. Per arrivare poi a tagliare proprio le rappresentanze e il Parlamento.
La cosa che colpisce è che a gestire il processo di liquidazione dell'economia pubblica furono in primis manager pubblici. Prodi ne è l'esempio per eccellenza. A lui furono affidate le privatizzazioni più massicce.
Ora siamo dopo 30 anni e dentro i disastri che hanno determinato e su cui infierisce la pandemia.
Cosa succede? Che si fa un nuovo passaggio sulla vecchia strada.
Invece che rimettere al centro la programmazione democratica e la ricostruzione delle strutture istituzionali e tecniche che possono gestirla si affida a manager e competenze cooptate la gestione di soldi pubblici di fatto con la sola "garanzia" di una figura apicale di governo.
La verità è che questo corrisponde ad una totale mancanza di volontà e di capacità di modificare il modello di sviluppo e i suoi assi portanti. Il pubblico e non il privato. Il lavoro e non l'impresa. L'ambiente e non il consumo.
E di ricreare le strutture atte a praticare questa svolta.
Si è invece arrendevoli verso poteri economici forti e corporativi e verso la frantumazione pseudo regionalistica.
Altro che teatrino nel governo. È in gioco la necessità di uscire dallo sfascio del trentennio. Ma per farlo serve avere il coraggio di una nuova prospettiva.
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