di Andrea Fabozzi

Massimo D’Alema sta in mezzo, tra Jo Stiglitz e Mario Monti. Ha chiamato il primo a riflettere sulle «politiche alternative per la crescita e l’occupazione» e l’economista premio Nobel ha risposto demolendo una dopo l’altra le scelte di austerity dell’Europa a trazione tedesca e rimorchio italiano. Ma l’altro professore di economia, quello che adesso guida il governo italiano, non ha concesso nulla al collega – «l’ho conosciuto a Yale nel ’67», dunque sulla costa sbagliata – e ha difeso il rigore europeo considerato indispensabile. Eppure, quasi a bilanciare la distanza che c’è, sul piano delle scelte politiche, tra un’impostazione anche blandamente progressista come quella rappresentata dalla fondazione europea per i progressive studies che D’Alema presiede e la sua, Mario Monti ha scelto l’incontro di ieri a Roma per assestare una serie di stoccate polemiche, se non addirittura derisorie, verso l’altro pilastro della sua strana maggioranza, il Pdl e il suo capo Alfano.

Stiglitz ha con se un lungo appunto pieno di osservazioni critiche e non ne trascura nessuna. «L’austerità da sola ucciderà il malato – dice – è provato che nessuna grande economia si è mai ripresa solo con questa medicina. Nei pochi casi in cui ha funzionato è stato per piccole economie e grazie a dei fattori sui quali l’Europa non può contare: la svalutazione o il boom economico di un paese verso il quale si esporta». Quello dell’economista americano è un appello a cambiare fin che si è in tempo: «L’economia in fin dei conti serve per far stare meglio gli uomini e la cornice nella quale si sta operano non ci riesce».

D’Alema e Monti lo ascoltano senza traduzione, il professore sa essere provocatorio: «Abbiamo già tante catastrofi naturali da fronteggiare, come i terremoti e gli uragani, da non dover aggiungercene una prodotta dagli uomini come la rigidità monetaria». «È strano che quello che per le aziende private si considera un fattore della crescita – il debito – quando si tratta del pubblico diventi solo un peso. Se i soldi presi a prestito sono investiti bene, e l’istruzione e la salute sono un buon investimento, indebitarsi è utile». Con la ministra Elsa Fornero ospite in prima fila, Jo Stiglitz non dimentica di criticare la riforma del mercato del lavoro. «Le riforme strutturali nel breve periodo non servono a nulla, e il breve periodo può durare tanto. Gli Usa hanno il mercato del lavoro più flessibile del mondo e tantissimi disoccupati». In generale, sostiene, sono le politiche dal lato dell’offerta a risultare inadeguate, e l’economista pronuncia il termine supply side con quel po’ di disprezzo che un neo keynesiano conserva verso i furori delle reaganomics. Monti gli sta due metri distante, su un altro pianeta.

Il presidente del Consiglio difende l’esigenza di riforme strutturali «perché l’Europa è molto più indietro degli Usa nel mercato del lavoro ma anche nella costruzione di un mercato unico interno». Si lancia nell’elogio dei vincoli di Maastricht «che sono serviti per costruire l’istituzione europea, anche se è stato necessario sacrificare un po’ di crescita». Ma poi accoglie almeno un’osservazione di Stiglitz, o meglio ne accetta la premessa: «Dalle riforme strutturali non dobbiamo aspettarci troppo». A D’Alema che incrocia le dita per Hollande in Francia e gli spiega che «anche in Germania ci sono forze politiche meno rigide sui vincoli di stabilità», Monti risponde che – come ha spiegato a Obama – per i tedeschi parlare di investimenti per la crescita è tabu per ragioni filosofiche. Weberiane, parrebbe: «Per loro la crescita è il risultato dei comportamenti corretti».

Ma detto questo, Monti passa al capitolo interno. Riprende la polemica col segretario del Pdl che intanto è costata al governo un rovescio in senato. «Non ce l’avevo con lui quando ho criticato chi suggeriva agli imprenditori di compensare le tasse con i crediti verso lo stato», dice. Anche se poi legge non l’annuncio di una rivolta fiscale ma di una proposta di legge da parte del segretario Pdl «e certo ogni parlamentare può fare proposte». Il presidente del Consiglio spiega che cercherà di ottenere vincoli meno rigidi per pagare almeno con i titoli di stato le imprese, «non so se l’onorevole Alfano sta sentendo questo dibattito, non credo, scoprirebbe che anche io sono interessato al tema».

Per la crescita, conclude, serviranno non mesi ma anni «scontiamo un ritardo culturale». Perché anche quando nel ’94 «c’era forte attesa, anche da parte mia, verso un nuovo movimento politico», quelle speranze dei liberali in Berlusconi andarono deluse – Monti invece andò a Bruxelles nominato commissario europeo.
Conclusione per D’Alema, rincuorato ascoltando Stiglitz: «La sinistra c’è ancora». Il che è certamente vero, almeno alla Columbia university.

Fonte: Il Manifesto

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