di Sergio Bassoli 

I rappresentanti di associazioni, reti movimenti impegnati per la pace e per la nonviolenza, provenienti da 45 paesi, si sono dati appuntamento nel fine settimana scorso a Vienna, per ribadire la richiesta del cessate il fuoco per porre fine alla guerra in Ucraina, alle violenze, alle morti, alla distruzione del territorio, per chiedere alla comunità internazionale di investire tutte le energie possibili nel negoziato in quanto unica strada possibile per raggiungere la pace.

Tante sono state le testimonianze di intellettuali, politici ed ex-diplomatici; dal vice-Presidente della Bolivia, David Choquehuanca che ha portato la cosmovisione indigena del buen vivir, agli statunitensi Jeffrey Sachs, Ann Wright, Noam Chomsky che non hanno risparmiato critiche allee amministrazioni Usa che si sono succedute negli ultimi 30 anni, all’euro-parlamentare irlandese Clare Daly ed all’ex-diplomatico tedesco Michael von der Schulerburg che invece hanno evidenziato come sia l’Unione europea ed i suoi Stati membri a mancare l’appuntamento con la pace e, privi di una politica estera comunitaria, accettando il ruolo dei gregari, e quindi esecutori di interessi altrui a scapito della sicurezza e delle politiche sociali europee.

Non sono mancate le voci dal Global South, dal Messico, India, Ghana, Cameroon, che hanno denunciato come le guerre siano parte del sistema che produce le povertà, le fughe di massa e che lottare per la fine delle guerre è lottare per la giustizia e per il diritto ad una vita dignitosa con diritti e libertà.

Tutti gli interventi, pur da diverse angolature e posizioni, hanno però ribadito il No alla Guerra, stimolandoci ad agire subito, perché la politica e le istituzioni da sole non riusciranno ad uscire da questa ennesima crisi globale.
Negli otto gruppi di lavoro realizzati (a conferma del metodo di lavoro partecipativo ed orizzontale che contraddistingue gli incontri dei movimenti della società civile) abbiamo ascoltato le testimonianze di chi ha vissuto la guerra sulla propria pelle o di chi si è trovato dentro il suo maledetto ingranaggio denunciandone cosa rimane nelle comunità e nell’ambiente, quando i riflettori sono spenti e nessuno si ricorda più di queste tragedie; le fratture, i traumi, l’odio e le ferite per generazioni che stentano a richiudersi, e più è lunga la guerra, e più profonde sono le ferite, e più lungo è il tempo di guarigione.

Sono state queste testimonianze di chi è vittima della guerra ad andare al cuore della conferenza, chiedendoci di provare ad essere sotto i bombardamenti in Ucraina o costretti a fuggire dal proprio paese per non essere arrestato/a e condannato/a all’ergastolo con l’accusa di terrorismo o per non condividere la scelta della guerra o delle armi, in Russia come in Bielorussia. Queste voci chiedono giustizia, solidarietà ma anche comprensione e rispetto, perché un conto è dire pace ed un conto è trovarsi con la porta sfondata di notte ed un fucile puntato alla testa o vedere la propria casa distrutta o un proprio caro schiacciato sotto le macerie o morto ucciso al fronte o passare giorni chiusi in un rifugio improvvisato. Senza alcun dubbio, questo confronto con donne ucraine, bielorusse e russe è stato il momento più importante della conferenza che ci ha permesso di superare le diverse posizioni ed approcci, per raggiungere alla fine il consenso sulla dichiarazione finale e sulla proposta di mobilitazione internazionale.

Sì, perché, è forse utile chiarirlo, per meglio comprendere il percorso fatto e gli impegni presi, a Vienna si sono ripresentate le divergenze tra approcci e modalità di azione presenti nel movimento pacifista, proprie di ogni latitudine e paese. Diversità che non hanno impedito di preparare e realizzare la conferenza, ma hanno dovuto arrivare ad una sintesi per non vanificare lo sforzo e la responsabilità assunta.

In sintesi, ci si è confrontati su due opzioni: una desiderosa di dichiararsi e di riaffermare una scelta di campo netta, contro la guerra ma individuando responsabilità e cause, senza fare sconti a nessuna parte.

Ed una seconda, più attenta al percorso, alla necessità di aprire la strada del dialogo tra le parti e la necessità di allargare il campo dell’impegno per la pace, guadagnando centimetro dopo centimetro, credibilità e fiducia tra chi in Ucraina lotta per i propri diritti come anche con chi in Russia ed in Bielorussia si oppone alla guerra, ed in Europa assiste silente a queste tragedie. Ed ha pesato nella scelta finale l’esperienza italiana di Europe for Peace e della campagna di StopThewarNow,, divenute punti di riferimento internazionali, per la capacità di aggregazione e la capacità di coniugare l’azione umanitaria di assistenza alle vittime con la posizione netta del cessate il fuoco, del negoziato e della soluzione politica e nonviolenta per costruire la pace.

La dichiarazione finale è quindi un appello alla mobilitazione internazionale per fermare la guerra, per salvare le vite umane ed pianeta, per dire ai governi che la soluzione della vittoria con le armi non è solo la sconfitta della politica ma anche della pace, della convivenza tra comunità e la distruzione del pianeta.

Vienna ha tracciato una strada che dobbiamo percorrere insieme a tutte le popolazioni ed a tutte le religioni. L’appello è di preparare una settimana di mobilitazioni in ogni capitale e città del mondo, dal 30 settembre all’8 ottobre. Il lavoro riparte subito, non c’è tempo da aspettare. Fermiamo la guerra e costruiamo la pace !

* Rete italiana Pace e Disarmo Europe for Peace
Responsabile Pace – Area Internazionale CGIL

Fonte: Il Manifesto

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