È un libro davvero sorprendente l’ultimo lavoro di Paolo Di Mizio, giornalista e scrittore originario di San Benedetto del Tronto, anche se trapiantato da lungo tempo a Roma dopo essere vissuto alcuni anni a Londra.

Teneri lupi – questo il titolo (Capponi Editore, pag. 427, euro 18) – è in sostanza un diario scritto nell’arco di alcuni decenni a partire dall’adolescenza a San Benedetto, e poi nel corso di tutta la sua carriera. Scritto spesso su fogli sparsi, nelle situazioni più diverse, talvolta nel mezzo di guerre o crisi diplomatiche durante le missioni dell’autore come giornalista, talvolta invece su spiagge solitarie, spesso appuntando le frasi sul telefono cellulare.

Il libro è in parte in versi, in parte in prosa e sarebbe molto riduttivo definirlo un libro di poesie. Al suo interno trovano spazio anche alcuni articoli e un paio di racconti, di cui uno sulla storia della sua famiglia nella prima metà del ‘900. Famiglia per molti versi paradigmatica dell’Italia, in cui campeggiano due “patriarchi”: il nonno paterno, tenace antifascista, e il bisnonno materno, che invece aderì al partito mussoliniano partecipando anche alla marcia su Roma. “Eppure” chiosa l’autore “nessuno ricorda nella nostra famiglia una lite per ragioni politiche. Ognuno rispettava l’altro. Si avversavano le ideologie, non le persone”.

Il libro è la testimonianza di una vita vissuta intensamente dall’autore, che è stato inviato speciale, caporedattore centrale e conduttore del Tg5 e che recentemente è stato insignito del Premio Truentum, la massima onorificenza che la città di San Benedetto riserva ai suoi figli che si sono fatti conoscere a livello nazionale e internazionale. Il padre dell’autore è da molti ricordato a San Benedetto e a Sant’Elpidio a Mare perché fu primario radiologo negli ospedali delle due città marchigiane.

Dopo un primo romanzo, intitolato Storia di Giuseppe e del suo amico Gesù, edito da Marsilio (pag. 378, euro 19,59), che è stato un best-seller qualche anno fa, questo Teneri lupi è un libro diverso, insolito, che forse non ha antesignani letterari se non nella grande diaristica. Perché, come dicevamo, è essenzialmente un diario istintivo, sgorgato dalla vita nel suo impetuoso divenire.

L’autore spiega a se stesso gli eventi, le scoperte, le emozioni di cui è testimone (memorabili le pagine sulla notte in cui scoppiò la prima guerra del Golfo in Iraq), ne rielabora il senso, e lo fa con un ricco ventaglio linguistico: colloquiale o lirico o ironico, talvolta giornalistico, talvolta sensuale, talvolta carico di ethos. La scrittura è ricordo, interpretazione, filosofia, e a tratti si sublima in un racconto letterario allusivo, allegorico.

È in sostanza il libro di un uomo che osserva le metamorfosi della vita come una serie di eventi spesso in contraddizione con i suoi desideri e i suoi sogni, e da “involontario guerriero” s’interroga sulla “incalibrata ira” del destino. 

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