di Elio Clero Bertoldi

PERUGIA – Alzi la mano chi non ha mai sentito parlare di Tutankhamun (1341 aC-1323 aC) o non ha mai sgranato gli occhi, ammirato, davanti alla sua maschera funeraria d’oro (esposta al Museo de Il Cairo), recuperata nella tomba, catalogata come KV62. Di questo “faraone bambino”, morto a soli 19 anni, dopo aver regnato per due lustri, restano – almeno allo stato – poche notizie biografiche. Anche perché i successori, come spesso avveniva, scatenarono una vera e propria “damnatio memoriae” nei confronti della “immagine vivente di Amun”. 

Per cercare di colmare questi vuoti, negli ultimi due anni Christian Greco, apprezzato direttore del Museo Egizio di Torino, ha pubblicato due libri: “Tutankhamun, la scoperta del giovane faraone” (2022) e “Alla ricerca di Tutankhamun” (2023). E chissà come il bravo manager allestirà l’esposizione torinese il prossimo anno, in occasione del secondo secolo di vita del Museo (fondato nel 1824, sotto il re Carlo Felice).

La tomba di Tutankhamun, nella Valle dei Re, venne scoperta 101 anni or sono (14 novembre 1922) dall’archeologo inglese Howard Carter a capo di una spedizione finanziata dal nobile George Herbert, conte di Carnarvon. Al ritrovamento fu registrata come la mummia 256. Tutt’intorno al sarcofago centinaia e centinaia di oggetti (seimila, pare). 
Molti i misteri che circondano questa mitica figura. Alcuni studiosi sostengono fosse figlio di Amenhotep III e di Tye; altri ipotizzano invece che fosse nato da Akhenaton e da Nefertiti (caratterizzata dall’alto cappello a cono rovesciato); altri ancora che fosse il frutto del rapporto tra Akhenaton e Kiya; non manca chi propone l’idea che fosse stato partorito da Maketaton, figlia e moglie di Akhenaton. Sicuro, invece, il nome della sua balia: Maia (nella tomba di quest’ultima, a Sakkara, Tutankhamun gioca sulle ginocchia della sua amata bambinaia) e che, prima di lui sul trono sedette, per meno di un anno, Smenkhara, forse fratellastro di Akhenaton.

Sul trono della XVIII dinastia, “il figlio di Ra” (Sa-Ra), dodicesimo esponente del Nuovo Regno, approdò a 8-9 anni, tanto che venne attorniato da un Consiglio di Reggenza di cui il leader sarebbe stato il capo dell’esercito, Horemheb (a sua volta salito al trono, dopo la morte di Ay, successore del “faraone bambino” per un paio di anni). Tutankhamun aveva dato avvio al superamento di quella che era stata poi etichettata come “l’eresia amarniana”, iniziata da Akhenaton, cioè la preminenza in tutto il pantheon egizio, del dio Aton, il disco-solare, riforma durata una trentina di anni. In pratica una religione a metà strada tra il politeismo ed il monoteismo. Proprio con Tutankhamun si concretizzò il ritorno all’antica religione, con la restaurazione di Amun e degli altri dei.

Una serie di ritrovamenti parla, sotto questo aspetto, chiaro: una prima incoronazione Tutankamun la ottenne nel nome di Aton, alla presenza di Nefertiti, quale reggente, nella città di Akhetaton (oggi Tell el Amarna), fondata dal re “eretico”; una seconda a Menfi, nel corso del quarto anno di regno ed ancora nel nome di Aton; la terza a Tebe, nel tempio di Karnak, stavolta sotto la protezione di Amun. Assicurano gli egittologi, che col ritorno della triade Amun-Ptah-Ra, gli egiziani riassunsero i tradizionali riti e la potente casta dei sacerdoti, emarginata da Akhenaton, si prese la sua rivincita, definitivamente coronata con l’avvento di Horemheb. 

Che Tutankhamun sia avvolto da un’aura di enigmi – che, tra l’altro, rafforzano, la sua fama – lo testimonia anche il particolare che rimangono sconosciute, almeno con sicurezza, le cause di una fine in così giovane età. Le analisi, i test, gli studi espletati sui resti (tra l’altro non ben conservati, purtroppo) dicono che il faraone presentasse una frattura alla gamba sinistra, che il piede sinistro recasse segni della “malattia di Kholer” e che soffrisse di equinismo nel piede destro. Il particolare che intorno al sarcofago fossero stati repertati circa 130 bastoni da passeggio, più o meno usurati, suona a conferma della disabilità del giovane re. Tra le altre evidenze gli anatomopatologi hanno riscontrato tracce di “Plasmodium falciparum”, malattia tropicale, di cui avrebbe sofferto anche sua moglie, Ankhesenamun. Si può attribuire a questa grave infezione la causa della morte del re diciannovenne?

L’ultima ipotesi, basata sullo studio dello scheletro e dei resti della mummia, lascia trapelare, invece, un decesso causato da un evento traumatico da schiacciamento. Sono state rilevate, in pratica, lesioni sulla parte sinistra del corpo (braccio, bacino, gamba) che lascerebbero ritenere che il faraone sia stato travolto dalla ruota di un carro da guerra. Insomma: una morte in battaglia e come tale eroica. Tutte da respingere – quali fake-news – le superstizioni legate alla scoperta della tomba del faraone che favoleggiano di morti provocate da una “maledizione”. Queste fole scaturirono da una banale concorrenza, tra i giornali dell’epoca. Lord Carnarvon, per rifarsi almeno un poco delle enormi spese sostenute, cedette l’esclusiva mondiale al “Times”. Gli altri giornali, con in testa il “Daily Mail”, ma pure altre testate non solo inglesi, scatenarono una ridda di voci (come il falso ritrovamento di immagini, statue o stele, con tanto di frasi minacciose inventate di sana pianta), attribuendo via via alla presunta maledizione del faraone ben dodici morti di soggetti (spirati tra il 1923 e il 1982), che avevano avuto una qualche relazione con la scoperta archeologica.

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