di Christian Cinti

Difficile vedere il bicchiere mezzo pieno. Anche se elementi su cui ragionare per un progetto di sviluppo regionale, ce ne sarebbero pure. Il problema è che, nonostante una ricchezza invidiabile (17 concessioni attive su uno storico di 20, sparse in 14 comuni della regione) l’Umbria non fa bene i suoi conti. E l’oro blu rimane poco più che uno slogan, appiccicato ad un settore che sta perdendo i pezzi.

I DATI

La fotografia, più nera che bianca, si compone sfogliando la “Relazione sull’utilizzazione delle acque minerali e termali” della Regione. I dati sono un po’ arrugginiti, ma cristallizzano una situazione che da un paio di anni si è fermata sull’orlo del precipizio. Insomma, le cose stanno così come documenta il dossier, senza che nulla sia andato avanti e – per fortuna – indietro.
«In Umbria – illustra la relazione - con 1.193 milioni di litri circa, nel 2013 si è ridotta la produzione di acque minerali (-13%) rispetto al 2012, per la prima volta non più in controtendenza con il mercato nazionale. La diminuzione di produzione quindi è stata superiore ai risultati nazionali, che hanno registrato nel 2013 un decremento pari a circa lo 0,5 % rispetto al 2012, giungendo ad una produzione di circa 12.400 milioni di litri. La produzione e i consumi nazionali, che pur avevano ripreso a crescere nel 2005, 2006 e 2007 dopo la battuta di arresto del 2004 dovuta ad una stagione estiva meno calda, nel 2008 sono scesi ed il trend negativo è continuato nel 2009 e ancor più nel 2010, per riprendere ancora lievemente nel 2011 e nel 2012 a cui ha corrisposto un consumo pro-capite di 187 litri annui. Nel 2014 la situazione è ancora peggiorata per l’Umbria, dove sono stati imbottigliati 1.085 milioni/litri di acqua minerale, con una ulteriore riduzione del 10% rispetto al 2013».

I POSTI DI LAVORO

Pur non essendo una proporzione esatta, la flessione di produzione e consumi (-1,3% a livello nazionale con una riduzione media di tre litri a testa) ha avuto un suo riflesso sul numero di posti di lavoro. Premettendo che ogni storia industriale va letta in maniera diversa e non bastano criteri oggettivi per inquadrare la fine di marchi più o meno storici o che, come ad esempio la Tione di Orvieto, sono passati in un paio d’anni da un boom produttivo alla cenere del fallimento. Ma tant’è: fino al 2012 in Umbria erano attivi 9 operatori di settore, titolari di 17 concessioni in 14 comuni della regione per una ventina di etichette in commercio. Il panorama si è andato assottigliando di mese in mese fino al 2014, quando «le acque locali poste in commercio sono diventate 17 su 20. All’acqua di Sassovivo – spiega la relazione di Palazzo Donini - il cui imbottigliamento è sospeso da anni a causa della morte del titolare, si è aggiunta l’acqua minerale Sorgente Tione e l’acqua minerale Sanfaustino. Entrambe hanno avuto delle crisi societarie che, per la Tione, hanno portato al fallimento dell’azienda e alla conseguente sospensione del decreto di riconoscimento da parte del ministero della Salute per non aver prodotto le analisi annuali, mentre per la Sanfaustino, pur non essendo sospesa, è in corso una procedura di concordato in bianco presso il tribunale di Terni, in attesa che ci sia qualche imprenditore interessato a rilevare l’azienda e nel frattempo sono finiti gli ammortizzatori sociali con conseguente licenziamento dei dipendenti. Anche la Sangemini spa e La S.p.A delle Acque di San Francesco – Goccia Blu, che detenevano le concessioni Sangemini e Amerino, hanno attraversato un forte periodo di crisi e, attraverso una procedura di concordato, sono state acquisite dalla Sangemini Acque S.p.A. una newco del Gruppo Norda, che dopo un periodo di concessione temporanea ha ottenuto a luglio 2015 l’acquisizione definitiva dei titoli minerari grazie al passato in giudicato della procedura concordataria con esito positivo e alla presentazione alla Regione di un nuovo piano industriale».
Insomma, gli addetti che nel 2013 erano 327 (15 in meno rispetto al 2012) sono diventati 289 nel 2014 per perdere altre 50 unità al termine del 2014. Al conto degli occupati diretti, va aggiunto lo stillicidio di lavoratori indiretti (pulizie, catering, trasporti, manutenzioni) che è difficile da calcolare, ma che ha avuto un suo riflesso sulla già provata economia locale.

IL DIBATTITO

Sebbene quella delle acque minerali non sia una vertenza da grandi numeri, è evidente che il settore annaspa con pesanti conseguenze sociali ed economiche. Eppure, lo spazio riservato a questo tema è stato negli anni molto poco. E più che altro focalizzato su un solo aspetto: l’impatto che le concessioni avevano sulle casse della Regione. Attualmente, lo sfruttamento delle acque minerali frutta a Palazzo Donini circa un milione di euro l’anno. Soldi che, in qualche caso, poi non vengono nemmeno girati ai comuni che ospitano sorgenti e stabilimenti. Soldi che certamente potrebbero essere di più se i canoni venissero incrementati. Soldi che, però, rischiano pure di essere sempre di meno se la falla delle acque minerali dovesse continuare a perdere bottiglie prodotte e posti di lavoro.

 

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