Merloni. La fabbrica è degli operai: nessun pasticcio
PERUGIA - L’incontro di mercoledì al Ministero dello sviluppo economico conferma una sola cosa: il ministro Romani ed i tre commissari continuano a fare il gioco delle tre carte e lesinano chiarezza agli operai, alle loro rappresentanze e alle Regioni Umbria e Marche. Un mese fa, dopo il ritiro degli iraniani, avevano detto che c’era un’altra offerta, ieri hanno detto che la nuova offerta è del gruppo marchigiano QS, il cui interesse era in verità già trapelato da un pezzo, ma al di fuori delle procedure e dei termini del bando internazionale.
L’offerta prevedrebbe la prosecuzione dell’attività produttiva in continuità, l’acquisizione di gran parte del perimetro industriale rimanente e il reimpiego di soli 700 dei 2300 cassaintegrati. Ad oggi, null’altro è stato dato sapere dei dettagli del piano industriale, per quanto non vi sia più la scusa del riserbo dovuto alla negoziazione legata al bando ed alla competizione con altre offerte.
Dopo aver constatato che si è fatta cadere ogni manifestazione di interesse senza particolari accorgimenti di politica industriale vera da parte del governo e dopo aver verificato il fallimento del regime commissariale prossimo a compiere i tre anni, il nuovo ed ancorché prevedibile scenario lascia aperto più di un interrogativo.
Il primo dei quali è quello che ci fa dire che siamo probabilmente di fronte ad un percorso di cessione pilotata il cui unico punto fermo era quello di mettere la Merloni nelle mani di un’azienda che fu del suo stesso “giro” industriale, tra i suoi principali fornitori, a prezzi stracciati, da asta fallimentare.
Occorre perciò molta prudenza anche perché si sa che in questi casi ciò che si dichiara e si promette soprattutto sul fronte della salvaguardia dei livelli occupazionali è ben diverso da ciò che infine si concretizza: se si è detto 700 operai, dubitiamo fortemente che saranno sì e no la metà, ovvero lo stesso numero delle altre offerte cadute in precedenza.
Bene hanno fatto i vertici nazionali e regionali della CGIL a richiedere un incontro immediato presso il ministero dello sviluppo economico e l’apertura formale ed irrinviabile di un tavolo di confronto col governo per esaminare ed approfondire nel dettaglio la portata reale del piano industriale del gruppo di Cerreto d’Esi che opera nel settore dell’automazione industriale.
E bene hanno fatto coloro che si sono finalmente affrettati a chiedere al governo di sbloccare subito i 35 milioni di euro di parte nazionale previsti per l’accordo di programma. Noi l’abbiamo fatto da un pezzo.
Ciò, però, non è minimante sufficiente se non si dice dove si vuole andare a parare. Se l’offerta di QS dovesse prevalere in assenza di altre precauzioni di politica industriale la sorte delle lavoratrici e dei lavoratori della Merloni appare segnata e porta un nome: massacro sociale. Parimenti, le risorse dell’accordo di programma sono essenziali per parare i colpi e gli effetti di questa lunga crisi aziendale sull’indotto, ma è giunto il tempo di dire come si vuole spenderle, per quale progetto di reindustrializzazione, su cosa si intenda effettivamente puntare per rilanciare l’economia di questo territorio. Altrimenti è forte il rischio che questi soldi prendano la via degli sprechi, delle dissipazioni, dei rivoli più estemporanei ed improduttivi o del mero assistenzialismo quando al contrario qualsiasi studente di economia sa bene che 35 milioni di euro possono mobilitare investimenti almeno dieci volte tanto, solo se utilizzati a buon fine ed in virtù di un progetto organico e complessivo di reindustrializzazione e di riconversione economica dell’apparato produttivo, a partire dall’indotto.
E su questo fronte è essenziale il contributo che possono e debbono dare le forze produttive locali, le Regioni e le Istituzioni locali perché nessuno meglio di questi soggetti conosce le caratteristiche, le potenzialità e le esigenze del “proprio” territorio.
Rispetto a questo scenario, le “novità” dell’incontro di mercoledì confermano a nostro avviso l’urgenza di cambiare radicalmente rotta in questa vertenza: ponderando e predisponendo insieme soluzioni alternative di riconversione industriale e pretendendo un nuovo regime a commissario unico che risponda direttamente anche alle Regioni ed operi “in loco”.
La storia della Merloni, la storia delle relazioni industriali e sindacali, in particolare, ci induce a sollecitare affinchè non si facciano pasticci e non si prendano accordi al ribasso su un piano industriale prevalentemente ignoto e del tutto insufficiente per quanto attiene le sue parti rese note.
Un elemento di fondo sfugge infatti a tutti ed è ora che emerga in tutta la sua rilevanza e verità. Dopo la crisi irreversibile di questa azienda, dopo aver evitato il suo fallimento, dopo aver ceduto alcuni suoi rami senza che i proventi potessero essere destinati prioritariamente ai lavoratori e alle piccole e medie imprese creditrici e prima che la si consegni a quattro soldi senza alcuna garanzia per i livelli occupazionali e per la prosecuzione di un’attività industriale vera, è giunta l’ora di riaffermare un principio di giustizia e di vantare un diritto di proprietà: questa grande fabbrica, questo immenso patrimonio industriale a cavallo di Umbria e Marche appartiene in primo luogo agli operai e ad essi si deve rendere una volta per tutte conto.
Il prossimo anno, a maggio, scadrà commissariamento e cassa integrazione: occorre che prima della fine dell’anno vi sia un cambio di rotta nella vertenza con un commissario unico e con la predisposizione di un progetto di riconversione che salvaguardi tutti i livelli occupazionali e dell’indotto e che delinei un futuro industriale al nostro territorio ben diverso da quello che si delinea nell’ipotesi di acquisizione di QS group. Un progetto di reindustrializzazione che si dipani direttamente dal territorio, si fondi sull’innovazione strategica delle attività produttive e risponda direttamente ai veri proprietari dell’azienda: le lavoratrici ed i lavoratori.
E’ un percorso difficile ma la difficoltà non può costituire uno stimolo all’inerzia e all’arrendevolezza: se si continua ad attendere con le mani in mano miracoli o interventi da un governo caduco che si ritrae dall’economia per i lavoratori non ci sarà scampo e l’alternativa è oramai data. Noi crediamo che si possa fare leva sul capitale umano, sociale e produttivo di Umbria e Marche e sulla possibilità di questo di intessere e sviluppare legami con partners industriali internazionali per un progetto di riconversione strategica di grande e di lungo respiro, anche sul fronte della “new” e della “green” economy.
Proveremo ancora una volta a mobilitare per questi obiettivi lavoratrici e lavoratori e a chiedere una diversa presa di coscienza da parte delle Istituzioni, della politica e del sindacato. Lo faremo nell’appuntamento del 14 ottobre “Merloni: prendiamoci la grande fabbrica”, nel giorno esatto dei tre anni dell’inizio del commissariamento e il giorno prima della mobilitazione europea contro le politiche economiche e sociali dei governi e della BCE che ci hanno prima condotto alla Grande crisi e ora pretendono di farcela pagare.
Sulla Merloni, non vorremmo proprio tra qualche anno ridire ciò che abbiamo detto tre anni fa: noi ve lo avevamo detto!
Per la sinistra per Gualdo
Gianluca Graciolini
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