Maxistalla e Opere Pie: i sindacati siano più lungimiranti
Chi amministra la politica deve mettersi in testa una volta per tutte che la tutela dell’ambiente non è una opzione a cui ricorrere di tanto in tanto per lavarsi la coscienza. Nessuno al giorno d’oggi, né partiti, né comitati, né sindacati si può permettere di compiere scelte politiche che compromettono l’ambiente. Il perché è semplicissimo: l’attività umana sta consumando le risorse naturali con una velocità maggiore della loro capacità di rigenerarsi. La situazione italiana è tra le più gravi al mondo: il nostro paese cementifica 161 ettari di terreno al giorno (equivalente a 251 campi da calcio). Inoltre, se negli anni passati sono state le popolazioni confinate nel terzo mondo a pagare le conseguenze del nostro sfrenato consumismo, oggi la distanza tra chi consuma l’ambiente e chi ne paga le conseguenze si è annullata. Nel caso specifico sono i cittadini di Santa Maria Rossa e zone limitrofe a pagare le conseguenze dell’ intensa attività agro zootecnica che insiste nella zona: i numerosi pozzi qui sono inquinati da una elevata concentrazione di nitrati, all’origine di sostanze cancerogene come le nitrosammine. Ci sono cittadini che bevono l’acqua inquinata dei pozzi perché impossibilitati a sostenere il costo di 45mila euro necessario all’allaccio con l’acquedotto comunale. Ed è proprio in questo contesto ambientale che si vorrebbe inserire la maxi stalla voluta dalle Opere Pie!
A fronte di una situazione ambientale così compromessa risulta fuori luogo l’appoggio dei sindacati al progetto della maxi stalla con annesso biodigestore giustificato come garanzia del mantenimento dei posti di lavoro e di risanamento del dissesto economico delle Opere Pie. Cgil, Cisl e Uil non si sono accorti che questo progetto, come risulta dai pochi elementi trapelati, presenta una improbabile redditività appesa al filo degli incentivi legati alla vendita di energia elettrica prodotta col biogas, e un grave rischio di ripercussioni ambientali che graveranno semmai sulla salute di ignari cittadini. Che garanzie ci sono di una corretta gestione dell’impianto se chi amministra oggi le Opere Pie ha accumulato una perdita di diversi milioni di euro? Che ne sarà del futuro degli operai quando il governo attuerà i preannunciati tagli sulla incentivazione della produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili? Chi pagherà i salari quando si andrà in emergenza ambientale e gli impianti saranno chiusi? I casi di Olmeto e Bettona non hanno insegnato nulla?
Non bisogna dimenticare che i comuni di Torgiano e Deruta, sui cui territori si estendono le proprietà delle Opere Pie, hanno detto no alla maxistalla dimostrando che ambiente e salute dei cittadini non sono secondari ai posti di lavoro. Il comune di Perugia (che ha la responsabilità di aver nominato il consiglio di amministrazione delle Opere Pie) si preoccupa giustamente di mettere fine alla gestione che rimette quattromila euro al giorno, ma nel fare questo non deve creare altri problemi. Rimuovere i vincoli posti dal Piano Regolatore e sottovalutare la “direttiva nitrati” non è la strada giusta.
Il mondo sta attraversando una fase di transizione e non è più pensabile mantenere le abitudini lavorative passate, è necessaria una notevole capacità di adattamento e spirito di iniziativa. I sindacati, se davvero vogliono tutelare il lavoro, dovrebbero spingere le Opere Pie e l’amministrazione comunale a predisporre progetti realmente compatibili con l’ambiente e condivisi con la cittadinanza tramite l’istituzione di adeguati percorsi partecipativi. Progetti possibilmente orientati ad attività innovative e con un solido futuro, come ad esempio il riciclo dei materiale proveniente dalla raccolta differenziata. Attività quest’ultima che in altre regioni ha creato numerosi nuovi posti di lavoro e che darebbe un notevole impulso alla salvaguardia dell’ambiente Umbro.
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