di Roberto Bertoni.

Ho seguito con attenzione i due discorsi di Renzi al Lingotto: sia quello di venerdì che quello di ieri. Li ho seguiti con interesse, andando al di là del mio giudizio su di lui, dell ovvio dissenso e finanche del profondo fastidio che provo verso toni, modi e comportamenti che non cambieranno mai, essendo il soggetto in questione uno di quei personaggi che non possono scendere dalla tigre che cavalcano fin dal primo giorno della propria avventura politica, pena la conclusione repentina della medesima.

L'ho ascoltato, dicevo, e mi sono reso conto di quanto, poverino, sia vittima di se stesso, della sua assoluta mancanza di elaborazione politica e della sua cultura che non va al di là dell'iPhone, dello slogan, del cinguettio in centoquaranta caratteri, che non conosce il senso della complessità, della profondità e della fatica di un dibattito vero, ampio, costruttivo.
Renzi non unisce: divide, per il semplice motivo che non sa fare altro.
Cita la parola "compagno" e poi la irride, appena due giorni dopo e dopo aver invitato Beppe Vacca a dare un minimo di senso alla sua kermesse.
Cita Bob Kennedy e, naturalmente, lo trasforma in un santino, in una figurina, in un personaggio da copertina del suo pantheon di cartapesta, senza minimamente soffermarsi, ad esempio, sul celebre discorso di quest'ultimo contro il feticcio del PIL e le sue tragiche conseguenze: un monito profetico che l'Occidente si rifiutò di ascoltare mezzo secolo fa e che, probabilmente, fu tra le ragioni del suo assassinio, salvo ritrovarci oggi a rimpiangere di non aver dato retta a quello statista autenticamente progressista e, soprattutto, in grado di immaginare e denunciare con la dovuta efficacia il baratro cui saremmo andati incontro seguendo la via del consumismo sfrenato.
Attacca frontalmente l'Europa e poi propone al PSE di eleggere il prossimo candidato alla presidenza della Commissione europea tramite le primarie, come se il PSE e l'Europa non avessero già abbastanza problemi.
Sostiene che quei "gufi rosiconi" degli scissionisti non abbiano altro argomento all'infuori di lui e poi paragona D'Alema alla Xylella.
Corteggia malamente Pisapia e la Boldrini nel tentativo di dividere la sinistra, senza rendersi conto che entrambi hanno ormai preso le distanze da lui e che il primo, nel suo discorso di sabato al Brancaccio, ha disconosciuto praticamente tutti i capissldi del renzismo, arrivando addirittura a schierarsi a favore dei referendum della CGIL.
Minaccia di uniformare le soglie di sbarramento di Camera e Senato al 5 per cento per mettere i bastoni fra le ruote al neonato movimento di Bersani e Speranza, senza rendersi conto che tutti i sondaggi lo danno ampiamente sopra il 5 per cento, a differenza dei fidi alleati della fu NCD, i quali difficilmente accetteranno di recitare la parte dei tacchini il giorno di Natale.
Copia malamente i grillini, riprendendo alcuni loro cavalli di battaglia e, di fatto, cedendo loro un'egemonia culturale per sottrazione che non meritano assolutamente; il tutto nell'ottantesimo anniversario della morte di Gramsci, fondatore dell'Unità e figura cui è intitolato l'istituto che presiede il neo-renziano Beppe Vacca.
Invita Emma Bonino, la quale compie un discorso splendido sull'importanza di aprirsi ai migranti e di accoglierli degnamente, e poi invita sullo stesso palco un ministro, Minniti, i cui provvedimenti ricordano tanto i pacchetti sicurezza di Maroni.
Infine, e questo mi ha davvero addolorato, strumentalizza le tragicomiche vicende di Virginia Raggi per difendere, in realtà, il suo amico Lotti, esercitando una cattiveria che, pur aspettandomi di tutto da un personaggio del genere, francamente non mi sarei aspettato neanche da lui.
Non ha capito, pover'uomo, che in questa stagione l'autenticità vale assai più che in passato, che gli album della Panini piacciono se ritraggono Dybala e Higuaín ma in politica hanno ampiamente stancato, che conta ciò che sei assai più di ciò che proclami di essere, almeno per quanto riguarda l'opinione pubblica, che la percezione che la gente ha di te vale più di mille editoriali elogiativi su Stampubblica, che con otto giovani su dieci contro un partito non può avere un futuro e che questa appropriazione indebita del domani, come se tutti gli altri fossero destinati a vivere in un eterno ieri o desiderosi di rinverdire i fasti dell'epoca di Vercingetorige, ha ampiamente fatto il suo tempo; senza contare, inoltre, che l'applauso rivolto a tutto e al suo contrario, in una sorta di "maanchismo" spinto alle estreme conseguenze, è il principale responsabile del fallimento complessivo del progetto del PD.
Troppi esponenti dell'establishment non hanno ancora capito, infatti, che nel renzismo non c'è nulla di nuovo o di realmente attrattivo: è solo la coda avvelenata del trentennio liberista, del decisionismo craxiano, peraltro senza avere la cultura di Ghino di Tacco, dell'improvvisazione berlusconiana, del blairismo thatcheriano, della sinistra che diventa destra, delle leggi Hartz, della Neue Mitte e dell'Agenda 2010 di Gehrard Schröder: tutto finito, tutto già visto, tutto già ampiamente fallito, al pari degli accordi economici firmati dal suo amico Clinton nei ruggenti anni Novanta su ispirazione della sua politicamente sventurata consorte.
Questo è il tempo delle reti orizzontali, della cultura digitale di massa e del desiderio diffuso di un sano protagonismo civile nonché della riaffermazione di quei princìpi di solidarietà e uguaglianza ormai divenuti indispensabili agli occhi di molti. È il tempo di inventarsi qualcosa di realmente nuovo: qualcosa che vada al di là delle urla di un comico che gridava già trent'anni fa al fianco di Pippo Baudo sul palco di Fantastico, al di là di un comunista padano che va a braccetto con i lepenisti di mezza Europa e anche al di là di uno yuppie che sembra essere uscito da un film di Oliver Stone, senza purtroppo essersi reso conto che anche dalle parti di Wall Street il crack del 2008 non è passato inosservato.
In poche parole, Renzi, incarnando tutto ciò che la stragrande maggioranza del Paese, e direi dell'Occidente, non sopporta più, ha apposto la propria firma su un contratto per l'abisso. Peccato che, andando avanti di questo passo, rischiamo di finirci dentro anche noi.

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