"MARE FUORI”, LA FICTION GIRATA NEL CARCERE MINORILE DI NISIDA
di Davide Steccanella
Quando nel settembre del 2020 (in pieno Covid) Rai 2 mandò in onda le prime puntate della serie fui tra i primi a segnalarla come una delle migliori cose realizzate negli ultimi anni dalla nostrana TV, tanto che quando io e Ale andammo Napoli imponemmo ai nostri gentili amici partenopei di condurci a vedere Nisida almeno dall’alto.
Oggi, terminata la terza serie, non si muove più foglia senza un’apparizione giornaliera del cast, al punto che persino la Mara nazional popolare ha ammesso ieri che per la prima volta anche il nipote adolescente, mai prima di allora interessato agli illustri ospiti del suo contenitore, le ha chiesto di presenziare per vedere da vicino i suoi “eroi”.
Sarebbe interessante capire cosa ha determinato un successo di tale portata, ai tempi anche Umberto Eco si interrogò su fenomeni di massa quali Mike Bongiorno e Diabolik, soprattutto tra i ragazzi di oggi, solitamente, quanto comprensibilmente, poco attratti dalla bolsa programmazione TV, perché, ormai è un dato acquisito, gli adolescenti si sono identificati negli eroi brutti, sporchi e cattivi che si susseguono nelle varie puntate, come fossero dei nuovi influencer social per usare un termine del cazzo.
Il fatto è che i vari Carmine & company non sono Ferragni e Fedez, ma neppure Lazza, non sono i belloni di Beautiful ma neppure quelli pulitini e carini di Skam e non sono neppure ragazzi “normali”, alcuni sono figli di camorristi, redenti o meno poco rileva, altri sono delinquenti di varia tipologia (financo all’omicidio), zingari, orfani disadattati, psicopatici violenti, e tutti si muovono - Chiattillo a parte ma ha una famiglia ricca di teste di cazzo - tra violenze domestiche, disagi sociali e mentali, droga, dipendenza vittima-carnefice in amore, bullismi, omertà, sopraffazione, omosessualità repressa da botte vere, e chi più ne ha più ne metta. Insomma, il contrario del politically correct che ha ucciso ogni forma di pensiero men che omologato.
I ragazzi del Nisida non sono i bravi ragazzi che vanno a scuola e amoreggiano tra una canna e l’altra, non sono valenti promesse sportive che faticano per vincere gare, non sono né ras di quartiere all’americana con borchie, moto sfavillanti e il tatuaggio di Heavy metal, nè buoni samaritani in erba che si battono per le ingiustizie del rione, ma neppure le guardie sono figure integerrime che hanno come unico obiettivo quello di far rispettare la legge, gli amori sono più dolorosi quando non tragici che “romantici”, la musica e la poesia sono libertà creativa dalle sbarre, sono rabbia e non occasione di happening, il dialetto è la lingua che unisce tanto quanto l‘italiano divide anche nella musica, le amicizie sono potenti quanto le inimicizie, le complicità di branco sono viscerali e non eticheggianti, e il messaggio che viene dato al termine di ogni puntata è che sono più spesso gli adulti integrati a trarre “lezioni” dai giovani devianti che viceversa.
In tal mondo a uscirne bene sono da un lato l’umanità del deviante (anche se commette in diretta le peggiori nefandezze) e dall’altro la debolezza e l’incoerenza talvolta fallimentare degli educatori, risultando, di contro, cattivo e stolto l’intemerato che si richiama alle fredde regole o il giudicante di professione.
Loro sono quelli fuori non tanto il mare che si vede dalle finestre dei prigioneri, e quel fuori non interessa a chi sta dentro e resta appunto fuori.
Non viene propagandata come risoluzione di tutti i mali la redenzione del reo, che spesso neppure si compie, ma viene evidenziata in ogni singola storia la soggettività e spesso casualità della stessa devianza, mostrando le diverse reazioni al medesimo disagio giovanile che resta la chiave per interpretare ogni azione adolescenziale, ma che diventa più generale anche negli adulti a loro volta intrecciati in una vita sconclusionata e piena di scheletri irrisolti.
Nessuno è colpevole e nessuno è innocente, semplicemente il problema non si pone, perché non è quella la chiave per comprendere le loro storie.
Tutto questo non avrebbe di per sè particolari meriti, direi che dovrebbe essere l’uovo di Colombo in ogni umano senno, sennò tanto vale guardare Happy Days o quei due fessacchiotti dei principi sfrattati, se non fosse che la cosa per me incredibile è apprendere che tutto questo sia riuscito a fare presa oggi, in un mondo feroce che inculca sin da piccoli l’idea malvagia che il cattivo debba andare punito a qualsiasi costo, che il detenuto è l’immondizia di una società moderna lanciata verso conquiste sempre più escludenti, insomma tutto avrei immaginato, fuorchè che i ragazzi di oggi si sentissero così attratti dai coetanei di quella serie.
Non sono neppure volti noti prestati all’abbisogna, fino a ieri nessuno sapeva chi caspita fossero tutti, per questo sono contento nel vederli tifare per dei detenuti, alla faccia, immagino, dei loro compunti genitori, e se Mare Fuori è riuscita nel miracolo di trasmettere ai ragazzi, in epoca di Meloni e Salvini (ma mica solo loro sia chiaro, il buon PD sono anni che ci mette del suo su sta storia della “legalità” di classe), un po’ di attenzione verso i veri ultimi di una società impietosa e classista che mai come oggi esclude chi resta indietro, evviva!
Forse è solo un fuoco di paglia, e sono stati i faccini azzeccati dei vari Carmine e Chiattillo ad avere fatto colpo, ma se così non fosse, sperare è lecito, da lì potrebbe partire un nuovo sentimento anche verso chi coetaneo non è e che sta persino peggio, alla faccia del “buttiamo via la chiave”, perché i vari Carmine, Pino, Gianni di oggi sono già diventati dopo la tersa serie gli uomini adulti del domani e da Nisida al carcere degli adulti il passo, in certe realtà, è breve, speriamo che li seguano anche lì.
Nutro questa speranza diciamo...
Fonte: facebook.com/davide.steccanella.9
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