di Antonio Sciotto

Un quadro disastrato, e in nettissimo peggioramento, quello tracciato dall'Istat nel suo Rapporto sulla povertà in Italia, relativo al 2011. Stanno male soprattutto gli operai, gli anziani, le coppie con figli, e pesa sempre di più il fenomeno dei giovani che non riescono a trovare occupazione, rimanendo a carico di redditi (da lavoro o da pensione) già spesso debolissimi.
Le famiglie «relativamente povere» (reddito inferiore a quello «soglia», pari a 1.011,03 euro) sono l'11,1%, in tutto 8,173 milioni di persone; all'interno di queste, ci sono i nuclei «assolutamente poveri» (quelli che non riescono a comprare beni necessari), pari al 5,2% (e a 3,415 milioni di persone). Infine, c'è un 7,6% di famiglie appena sopra la soglia della povertà: una spesa imprevista potrebbe portarle a diventare povere. L'Italia più fragile è concentrata nel centro-sud, sempre più distante dal nord e bloccato in un pantano da cui non riesce a uscir fuori.

Sono dati allarmanti, di una povertà rimasta «sostanzialmente stabile» tra il 2010 e il 2011, ma solo perché sono peggiorate le condizioni delle famiglie in cui vi sono operai, o non vi sono redditi da lavoro, e migliorate quelle delle famiglie di dirigenti o impiegati. Una «media» tra diversi ceti sociali che certo non contribuisce a dividere in maniera equa il pollo.

Un nettissimo peggioramento si osserva tra le famiglie senza occupati né pensionati, famiglie cioè senza alcun reddito proveniente da attività lavorative presenti o pregresse, per le quali l'incidenza della povertà, pari al 40,2% nel 2010, sale al 50,7% nel 2011. I tre quarti di queste famiglie risiedono nel Mezzogiorno, dove la relativa incidenza passa dal 44,7% al 60,7%. Un aumento della povertà si osserva anche per le famiglie con tutti i componenti ritirati dal lavoro (dall'8,3% al 9,6%), che, in oltre il 90% dei casi, sono anziani soli e coppie di anziani; un leggero miglioramento, tra le famiglie in cui vi sono esclusivamente redditi da pensione, si osserva solo laddove la pensione percepita riesce ancora a sostenere il peso economico dei componenti che non lavorano, tanto da non indurli a cercare lavoro (dal 17,1% al 13,5%).

L'incidenza della povertà relativa sale dall'11,6% al 13,5% per le famiglie con un figlio minore, a seguito della diminuzione di quelle in cui entrambi i coniugi sono occupati e dell'aumento di quelle con uno solo e con nessun occupato.
Particolarmente grave, come già accennato, il quadro del Sud: quasi una famiglia su quattro, pari al 23,3%, risultata povera nel Mezzogiorno. Tra queste l'8% è stata colpita da povertà assoluta, vale a dire con un tenore di vita che non permette di conseguire uno standard di vita minimamente accettabile.Le situazioni più gravi si osservano tra le famiglie residenti in Sicilia (27,3%) e Calabria (26,2%), dove sono povere oltre un quarto delle famiglie.

Secondo le Acli, «sta emergendo un enorme blocco sociale fatto di poveri e disoccupati che va considerato come la prima grande emergenza di questo paese». «La forbice tra ricchi e poveri - continua l'associazione cristiana dei lavoratori - va chiusa attraverso una politica di redistribuzione delle ricchezze, a partire da quella robusta patrimoniale che non si è voluta o potuta ancora fare in Italia».
«I costi della crisi li stanno pagando i lavoratori, i disoccupati, i precari e le fasce più deboli della società che permangono in una situazione di povertà assoluta - osserva Vera Lamonica, segretaria confederale Cgil - Il dato più nuovo e preoccupante è il progressivo impoverimento di ampi strati di famiglie operaie. È necessario invertire la rotta e cambiare le politiche fiscali, creare crescita e lavoro, rilanciare il welfare, a partire da un piano nazionale di contrasto alla povertà». I consumatori del Codacons chiedono al governo un «decreto anti-povertà, perché 8 milioni di poveri sono una vergogna».

Fonte: Il Manifesto

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